SE ACCADE A PALERMO PUO' SUCCEDERE ANCHE AD AGRIGENTO. O NO? di Tano Siracusa

Dunque è possibile. Anche in una città come Palermo, i cui abitanti avevano progressivamente convertito le automobili in costosissime e inefficienti protesi per spostarsi anche di poche centinaia di metri, anche in una città che meravigliava i visitatori per l'impatto sonoro e visivo del suo traffico, per la sua evidente insensatezza, perfino a Palermo è possibile impedire alle automobili l'accesso al centro.

Il sindaco Orlando ha tenuto duro, lasciando decantare le proteste dei commercianti e dei residenti. Adesso sono gli stessi negozianti di via Roma a chiederne la chiusura al traffico, mentre sulla parallela via Maqueda  e su per corso Vittorio Emanuele fino alla Cattedrale e a Porta Nuova, in questa vasta area del centro ampiamente pedonalizzata, la folla riempie il nastro d'asfalto, siede sulle panchine, entra ed esce dai negozi e dai locali, dai caffè, dalle librerie, scivola sulle biciclette o sui pattini, mentre i turisti ammirano le eleganti quinte dei palazzi umbertini, i fasti barocchi, l'austerità normanna della cattedrale e piazza Bologni, prima un informe assembramento di auto posteggiate, restituita alla sua armonia e al suo spazio. Lontano si sente ululare qualche sirena.
Via Roma non è meno bella di Via Maqueda: anche qui eleganti palazzi, monumenti, teatri e piazze che vi si affacciano, ma l'atmosfera è diversa. Il traffico scorre e i commercianti palermitani del centro stanno facendo esperienza della mancata equazione fra accesso alle automobili e buone vendite. Stanno comprendendo che l'equazione vale per i grandi centri commerciali, dislocati prevalentemente in periferia. Nei centri storici al contrario, se soltanto si offre un'alternativa e si garantisce un periodo ragionevole di rodaggio, l'equazione si rovescia e diventa evidente lo svantaggio degli esercizi commerciali che si affacciano su strade attraversate dal traffico veicolare.

Negli ultimi mesi mi è capitato di osservare il sistema della mobilità in tre grandi città europee, Copenaghen, Barcelona e Torino.
Copenaghen è un'utopia della mobilità leggera, ecosostenibile, favorita dal carattere lagunare, dalla funzionalità del trasporto su acqua. Più interessanti i modelli di Barcelona e Torino, anche per certe caratteristiche urbanistiche ereditate dalla loro storia premoderna e quindi preautomobistica, a cominciare dall'ampiezza delle strade, dei grandi viali che separano le quinte dei palazzi. La città catalana e la antica capitale sabauda (e recente capitale dell'automobile) hanno utilizzato due modelli opposti, la cui opposizione è possibile misurare in metri, in superficie: a Barcelona la gran parte se non la totalità della superficie del vasto centro è pavimentata e chiusa al traffico, innervata da piste ciclabili, servita da mezzi pubblici di trasporto su gomma e molta metropolitana. A Torino il rapporto è rovesciato. La città di Agnelli ha invaso la città sabauda, destinando gran parte della superficie dei suoi grandi viali al traffico su gomma, con una metropolitana molto moderna ma poco estesa, con pochissime piste ciclabili. Torino è fra le città più inquinate d'Europa. 
A Palermo l'amministrazione di Orlando, che eredita un contesto di parossismo veicolare, sembra orientata a realizzare un modello analogo a quello della città catalana. Sicuramente quando sarà attiva la stazione metro a piazza Politeama e l'intero sistema del trasporto pubblico sarà funzionante, sarà possibile chiudere al traffico automobilistico fino almeno a piazza Croci. Allora il centro di Palermo potrà tornare a rivivere i fasti di fine ottocento, quando era una delle capitali europee del bel mondo. 
Intanto, attorno all'isola centrale parzialmente chiusa al traffico, le automobili sono fiumi in piena.
E Agrigento? Qui non si riesce a chiudere al traffico via Atenea e via Pirandello, non si riesce a impedire ad auto e furgoni di posteggiare a Piano Lena, dove la pietra bianca del discusso rifacimento della piazza è diventata bruna per le impronte della gomma e nera per chiazze di olio rilasciate dai motori. Come a Piano Barone e dintorni (c'è chi vorrebbe denunciare l'Amministrazione Comunale per non impedire e non sanzionare la quotidiana vandalizzazione di quei luoghi).  
Agrigento sembra avere un altro modello, Napoli. Dove le auto invadono i magnifici cortili settecenteschi dei palazzi e si infilano controsenso nei vicoli di Forcella e dei Quartieri Spagnoli.  Qui da noi sostano ai piedi o alla sommità delle tante scalinate del centro storico, talvolta salgono qualche gradino, come lumaconi. Saturano ogni spazio della città medievale. 'Fuori le mura' è ovviamente peggio.
Domenica sera villa Bonfiglio era piena di gente e di luci: poche cose, un po' di artigianato, un piccolo luna park, la musica, ma bastava per una piacevole atmosfera di festa. Un'isola dove era anche possibile respirare, perché il viale della Vittoria era intasato dalle auto, immobili e con i motori accesi fin dalla curva Coniglio.
La responsabilità di certe scelte non è soltanto degli amministratori, selezionati in fin dei conti da un meccanismo democratico. Dovrebbero essere i cittadini a chiedere un cambio del modello di mobilità in una città dal territorio vastissimo e attraversato da un servizio pubblico di trasporto del tutto inadeguato. Anche i giovani, i disoccupati, le imprese private dovrebbero guardare con molto interesse a un diverso sistema della mobilità, che offrirebbe opportunità di lavoro e di reddito in una città dove il collegamento serale degli autobus con san Leone è sospeso, i taxi costano in modo assurdo  e dove nelle viuzze del centro storico si avventurano i turisti con le loro auto per posteggiare davanti ai b&b, creando ingorghi surreali. Già a Palermo si vedono circolare taxi collettivi e mezzi a tre ruote, le vecchie Api, i cui recenti modelli ecologici sarebbero ideali per un trasporto a basso costo e capillare in un centro storico come il nostro.
A Palermo è stato possibile, e dieci anni fa nessuno ci avrebbe creduto. Che sia stato possibile a Palermo rimane la principale ragione di speranza per un numero imprecisato di agrigentini.

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