PERIFERIE. EN ATTENDANT IL CENTRO SOCIALE DI FONTANELLE di Enza Di Vita

Narrate, uomini, la vostra storia di periferia. Dopo le analisi di Tripodi, Farruggia e Gucciardo, e il contributo autobiografico di Carmelo Sardo, una giovane assistente sociale ritorna sul tema, con un articolo sul centro sociale di Fontanelle, argomento della sua recente tesi di laurea (relatore, Gaetano Gucciardo). La parola, il racconto, la discussione sono forse strumenti deboli per contrastare l'atomismo sociale e la dispersione di senso in cui una città come Agrigento tende a trascinare i suoi abitanti. Tuttavia, in prossimità dell'anniversario della Liberazione, quest'anno funestato da orrendi distinguo, ci sia consentito di rivendicare la bellezza di questa forma civile di resistenza, di questo metodo, contro le "ortodossie personali", come le definisce Fausto D'Alessandro, principalmente le nostre, contro ogni ogni totalitaria presunzione di verità. G. V.     

Un gigante dalle fattezze spettrali. Appare così, soprattutto se lo guardi di sera al buio. È il centro sociale o meglio non è il centro sociale.

Comparso intorno alla fine degli anni '80 del '900, la sua funzione è stata sostanzialmente quella di sostenere il tempio degli uffici comunali della moderna Akragas in quel di Fontanelle.

Un telamone fatto di materiali scadenti legato ad un progetto che è ormai utopia per i residenti. Un progetto che per poco non si realizzava quando nel 2009, con il “Contratto di quartiere II”, si operò la riqualificazione urbana di alcune aree del quartiere.

Riqualificazione che però non fu mai portata a termine e che ha concesso ai residenti di continuare a logorarsi con l'antico leitmotiv che li caratterizza: «ma quannu lu finiscinu stu centro sociali?».

Per capire meglio come questo gigante sia apparso in questa contrada di campagna bisogna fare qualche passo indietro.

Agrigento subì l'esodo dei residenti verso l'hinterland a partire dagli anni '70 come conseguenza dell'evento franoso che, nel luglio del '66, distrusse alcuni quartieri del centro storico cittadino. Da allora la città si espanse verso due direttrici.

In particolare, a nord del centro urbano nacquero quartieri privi di identità ed attrattività quali Fontanelle, San Giusippuzzu e San Michele nella zona industriale.

Fontanelle viene inizialmente concepito come sobborgo idoneo ad ospitare l'insediamento del ceto impiegatizio agrigentino così, in seguito all'emanazione del Prg del '78, si costituirono diverse cooperative edili che, parallelamente allo Iacp, edificarono condomini su aree piuttosto ristrette, organizzati in addizione verticale.

Il disordine del sistema insediativo e la tipologia abitativa prescelta, che diede origine ad edifici sì vicini gli uni agli altri ma concretamente isolati, insieme alla mancata realizzazione di importanti infrastrutture, generarono sin dai primi anni di vita del quartiere non poche difficoltà in termini di vivibilità ed aggregazione sociale.

La frazione di Fontanelle guadagnò ben presto il triste appellativo di “quartiere dormitorio”. Un quartiere che dorme è un quartiere che svolge egregiamente la funzione residenziale e mediocremente quella sociale.

I residenti hanno sofferto la mancata realizzazione della villa comunale e del centro sociale, luoghi per elezione vocati all'incontro e alla socializzazione.

Proprio l’embrione di edificio destinato a diventare il centro sociale ha incarnato per i residenti il simbolo materiale dell'incuria e dell'indifferenza delle istituzione pubbliche. È stato il luogo dell'incontro e del rifugio di diverse generazioni di giovani ed adolescenti, il luogo in cui hanno potuto riversare la propria rabbia e la propria frustrazione sociale facendolo oggetto di numerosi raid vandalici. È lo spazio che ha accolto una domanda di aiuto mai letta, mai considerata.

Spesso sentiamo dire che un quartiere non manifesta il proprio “senso di comunità”. Erroneamente si potrebbe pensare che il suo sviluppo avvenga spontaneamente quando un gruppo di individui, stanziati su di un certo territorio, intesse relazioni sociali per un arco di tempo più o meno lungo.

Il sentirsi comunità ovvero sperimentare il senso di appartenenza, la percezione di similarità, il senso di fiducia e di interdipendenza non è cosa facile e il suo sviluppo può dipendere da numerosi fattori. L'eterogeneità sociale dei residenti e l'assenza di luoghi che agevolino i processi di socializzazione comunitaria influiscono negativamente sulla costruzione del senso di comunità.

Nel caso di Fontanelle, il centro sociale avrebbe potuto elevarsi simbolicamente ad edificio pubblico dell'agorà, cioè a spazio intermedio capace di far dialogare l'ekklesia e l'oikos, interesse pubblico ed interesse privato. Questo sarebbe stato il luogo della comunicazione, della trasformazione delle parole in azione sociale.

Il senso di comunità avrebbe avuto così un alveo dove nascere, una dimensione materiale dove la partecipazione sociale diventa tangibile e la programmazione di interventi e servizi è più funzionale ed efficace perché prevede il lavoro “con” e “per” l'utenza a cui si riferisce.

Alla città e alla periferia si dovrebbe guardare con un occhio capace di sguardo panoramico, dove il dettaglio informe e la stortura sono mitigati ed inclusi nel tutto. Uno sguardo capace di armonizzare la pochezza della frazione, del frammento con la bellezza dell'insieme. Uno sguardo della concordia, dell'accordo di idee, dell'incontro delle diversità capaci di trasformarsi in uguaglianza di intenti nelle azioni orientate al bene comune