TUTTE LE LIBERTA' POSSIBILI, TUTTE LE SOLIDARIETA' NECESSARIE di Giovanni Taglialavoro

DALLA CRISI DELLA SICILIA SI ESCE COL CIVISMO POLITICO

L'appello di Leoluca Orlando per salvare la Sicilia attraverso il civismo politico è l'unica via possibile di rilancio della regione. Il ceto politico e i partiti sono screditati e subiti.

Le ragioni del consenso di cui godeva nel passato, fondato essenzialmente sull’allargamento della mediazione assistenziale e sul mantenimento dello status quo, sono oggi la causa principale della loro impresentabilità e dell'impotenza delle istituzioni.

Negli anni, e il discorso vale per gran parte del meridione, si è costruito e mantenuto un sistema dissipatorio di gestione della cosa pubblica che riusciva a nascondere la propria inadeguatezza rispetto alle esigenze dei sistemi complessi, con progressive dissipazioni aggiuntive creando sovrastrutture gestionali ipercostose e inefficienti e semplicemente rinviando l'appuntamento col default.

Oggi l’intero sistema di mediazione si mostra per quello che è sempre stato: un sistema di rapina di risorse pubbliche e di dominio immotivato sulle persone.

Un sistema nel quale la selezione dei gruppi dirigenti avviene sulla base della spregiudicatezza e dell’asservimento.

Sull’acqua, sui rifiuti, sulla burocrazia regionale, sulla distruzione dell’ambiente, sul lavoro che manca, sulla legalità, sui beni culturali e le risorse energetiche i nodi sono venuti al pettine.

Bisogna trovare un'alternativa a tale modello di mediazione dissipativa.

 

Da dove ricominciare? Di questo si tratta: definire un nuovo cominciamento.

Un nuovo riferimento ideale su cui selezionare i gruppi dirigenti.

Proviamo a dire cosa dovrebbe distinguere tale alternativa.

  1. Lotta al sistema di mediazione dissipativa.

E' il sistema che pensa e pratica la politica come accaparramento e distribuzione delle risorse pubbliche; è un sistema che pone il ceto politico al centro di ogni negoziazione: da quella economica a quella professionale, da quella sanitaria a quella culturale.

Bisogna denunciare questo strangolamento della politica e proporre un arretramento dei politici da questi ambiti, esaltando ogni espressione di autonomia economica, valorizzando i meriti professionali e riconoscendo ai bisogni statuti di soddisfazione oggettivi, trasparenti e verificabili;

  1. Lotta in difesa dei più deboli e per eguali condizioni di partenza.

Vanno ripensate, in rapporto ai deboli e alle povertà, le due principali tradizioni politico-culturali del riformismo italiano, quella socialcomunista e quella cattolica. Con qualche ridefinizione necessaria.

Nella tradizione social-comunista gli ultimi, il proletariato, erano i portatori di valori universali: organizzare e sostenere i loro interessi immediati era il modo più concreto, storicamente necessario addirittura, per liberare l'intera umanità. Così avveniva il passaggio dall'utopia alla storia attraverso appunto la singolare coincidenza del particolare (gli interessi della classe operaia) con l'universale, il cui risultato sarebbe stato la società nella quale da ognuno si sarebbe preteso secondo le capacità e ad ognuno distribuito secondo i bisogni.

Questa coincidenza tra il particolare e l'universale si è rivelata illusoria e laddove si è creduto di realizzarla i costi in termini di oppressione, di illibertà e di compressione della dignità umana, sono stati altissimi e irripetibili.

Si rende urgente una rimotivazione laica della difesa dei deboli che non sia il frutto di una compassionevole e spesso ipocrita attenzione ormai appannaggio predominante della nuova destra.

Non è questo un problema ovviamente per il solidarismo di tradizione cattolica che non ha mai caricato l'aiuto ai più deboli di aspettative palingenetiche: l' attenzione nei loro confronti è la diretta conseguenza della 'carità' evangelica che continua ad ispirare il solidarismo presente cui difetta semmai una rinnovata capacità di traduzione istituzionale della carità individuale ( le nuove regole del welfare) e un confronto serrato con il partito della 'verità', sempre del mondo cattolico o dei cosiddetti laici-devoti, più interessato a monitorare e a sancire i comportamenti e le ubbidienze piuttosto che a lenire le sofferenze.

Il punto unificante delle due anime del riformismo potrebbe essere dato dalla centralità di quella parte dell'articolo 3 della costituzione che affida alla repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico o sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

Bisogna puntare a favorire uguali condizioni di partenza dei cittadini in ogni campo. Ciò vale sempre di più anche nel rapporto coi popoli migranti che in una dimensione globale equivalgono ai deboli del nostro campo. La destra punta ad una contrapposizione dei deboli interni coi migranti la sfida che in vece vogliamo lanciare è quella che punta ad un fronte unitario articolato in cui siano dalla stessa parte tutti i deboli del mondo per mettere in discussione un sistema produttivo mondiale che porta a ineguaglianze mai viste nella storia dell'umanità e alla distruzione dell'ambiente. La Sicilia e la provincia di Agrigento saranno sempre di più il campo di maggiore esposizione del confronto scontro tra due linee di gestione della crisi migratoria: da un lato l'idea di alzare muri e frontiere, con la nostra regione come avamposto militarizzato, linea del fronte cui funzionalizzare risorse, modelli sociali e istituzionali, dall'altro invece la speranza di farne terra di confronto e di accoglienza, ponte tra civiltà con saperi, professioni e strutture adeguate con le relative risorse nazionali ed europee.

La nostra scelta di campo è chiara e si ispira al più genuino insegnamento dell'Europa dei diritti e della cooperazione e alla dottrina e alla predicazione di papa Francesco e del nostro arcivescovo Montenegro: la difesa della nostra 'civiltà' passa anche attraverso la capacità di dare a tutti gli uomini del mondo la speranza di un futuro migliore e non con arroccamenti egoistici quanto illusori.

 

  1. Lotta per la legalità.

Sembrerebbe un'ovvietà ovunque, ma non in Italia non in Sicilia. Gran parte del nostro territorio è controllato da forze criminali. Sono rare le attività economiche che non debbano fare i conti con i taglieggiamenti malavitosi e con Cosa nostra.

C'è una contraddizione inspiegabile oggi tra le dichiarazioni di estraneità e addirittura di ostilità di sempre più numerosi imprenditori e di tutti i politici e il numero di intimidazioni violente e clamorose registrate dalla cronaca.

C'è il sospetto che, così come qualche studioso definisce la nostra democrazia più recitata che effettiva, ci possa essere anche un'antimafiosità altrettanto recitata.

Ma la difesa della legalità non è una delega da affidare a cavalieri coraggiosi, deve rappresentare un impegno costante del ceto politico e di ogni cittadino e si deve accompagnare a continui coinvolgimenti dei soggetti vittime dell'illegalità: nessuna liberazione può mai avvenire in grazia di pratiche eroiche, finite le quali certamente i bubboni dell'illegalità tornano a minacciare e ad impadronirsi del corpo sociale.

  1. Lotta per un lavoro libero e liberato.

Il potere della mediazione dissipativa si fonda essenzialmente sul controllo ossessivo delle occasioni di lavoro e dei lavori esistenti.

Vogliamo lanciare una campagna di medio-lungo periodo sulla liberazione del lavoro e dei lavori. Bisogna pretendere l'assoluta trasparenza di tutte le occasioni di lavoro pubblico nel territorio: comuni, enti territoriali vari debbono far convergere su una banca dati, facilmente consultabile via internet, tutte le possibilità di lavoro anche temporaneo; le regole di avvio a questi lavori debbono essere conosciute e controllabili da tutti.

La stessa cosa dovrà valere per i concorsi interni e gli avanzamenti di carriera.

Le procedure per il rilascio di concessioni edilizie o degli appalti pubblici debbono avere una tracciabilità su Internet.

Nessun atto pubblico locale potrà avere efficacia se non appare tempestivamente pubblicato sui siti dedicati.

5. L'assalto alla disoccupazione

Oggi la priorità è avviare al lavoro le nuove generazioni che ne sono espulse. Le città e i paesi siciliani stanno perdendo i loro giovani migliori, quelli che hanno studiato e acquisito competenze e saperi che non trovano nel territorio possibilità alcuna di realizzazione professionale.

Il liberismo trionfante ha frenato l’intervento dello stato col risultato, laddove l’economia era gia’ forte, di favorire squilibri e divaricazioni reddituali e, laddove l’economia era debole, di perpetuare nelle mani del ceto politico la gestione dell’esistente quando invece era necessario smantellarla per avviare altri sviluppi autocentrati.

Proponiamo un piano pluriennale di intervento statale nel sud, simile a quello che la Germania ha messo in campo a favore del suo est ex comunista, centrato sul risanamento ambientale delle coste e dei centri storici, sull'efficientamento del sistema viario e delle linee ferroviarie e per la sicurezza e la qualità delle strutture scolastiche, un piano che favorisca l'occupazione giovanile affidato ad un agenzia esterna allo stato. Vogliamo lanciare l'assalto alla disoccupazione così come alla fine degli anni cinquanta e negli anni settanta venne lanciato l'assalto alla miseria e alla povertà.

Un tale piano non può e non deve avere alcuna connotazione sicilianista o regionalista: i responsabili delle condizioni attuali della Sicilia e del sud si trovano nel territorio e non hanno alcuna legittimità per chiedere ulteriori finanziamenti statali.

Solo con un rinnovato protagonismo civico può diventare credibile la richiesta di un riequilibrio nei rapporti tra le regioni italiane e di un impegno finanziario nazionale da dedicare al sud.  

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