DIARIO LINOSANO 5 di Tano Siracusa

A Linosa pensavo di rimanere solo un paio di giorni. Il tempo di salutare Lalla e vedere la processione. Non vi ero mai sbarcato d’inverno ed era l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata.
Trenta anni prima Linosa era stata per me il sole rovente di luglio, quella luce dura che scavava ombre nere negli anfratti degli scogli acuminati, il sale sulla pelle, il grido delle berte marine e le notti vellutate a casa di Aldo Benusiglio.

In quel dicembre per me tristissimo del 2013, Linosa era ormai lo scenario di una vita precedente, felice e immeritata, di cui Aldo era stato una specie di bizzarro nume tutelare. Di me e di ciò che avevo più caro oltre i genitori: mia moglie, la voglia e l’innocenza di allora. 
Aldo Benusiglio era venuto a Linosa negli anni ’70 direttamente da Milano con la sua nuova compagna, Pina. Aveva lasciato la grande città, l’impresa cui ormai badava il figlio, gli affari, i viaggi di lavoro in Grecia e in Turchia, ma non la sua passione di militante comunista. Aveva fatto la Resistenza e poteva essere mio padre, ma eravamo diventati amici.
Al suo arrivo sull’isola quelli iscritti alla sezione del PCI erano quattro. Qualche anno dopo mi telefonò per annunciarmi che avevano vinto le elezioni: bandiera rossa a Linosa, aveva gridato con il suo improbabile accento siciliano.
In realtà ‘gli anni del comunismo’ di Aldo Benusiglio furono gli anni di una rivoluzione borghese: spaccando la comunità dei linosani, mettendosi contro un parroco e altre autorità locali, suscitando inestinguibili rancori e appassionate solidarietà, dando e ricevendo querele, Aldo sarebbe riuscito a far sbarcare sulla piccola isola (qualche anno dopo la frutta inviata per intercessione del ministro Taviani) anche un po’ di senso del diritto, le forme di una legalità oggettiva e impersonale. Per anni Aldo avrebbe contrastato abusi e privilegi feudali, si sarebbe dato da fare per le pensioni dei linosani, per far conoscere attraverso le colonne de L’Unità quella nuova piccola Eboli perduta nel Mediterraneo.
Un omone Aldo, con lunghi baffi barbarici e i capelli grigi, poliglotta e comunista: Dario Fo con i baffi pensavo mentre saltellava sul pavimento di casa mia pochi mesi dopo una rischiosissima operazione al cuore. Aldo che comprava un eccellente Brut scontato ai supermercati e avviava sbornie ariose e leggere come nuvole, che raccontava avventure inverosimili e vere, che sembrava non potesse né dovesse mai invecchiare.
Poi invece anche Aldo è invecchiato ed è morto a Linosa. A ricordarlo adesso con affetto, stima e gratitudine a Linosa sono in molti, e a raccontarlo una sera di quel dicembre del 2013 è stata Lalla, la sua ultima compagna, che è rimasta a vivere sola sull’isola. Ormai facevo riprese da cinque giorni. 
Pensavo di salutarla, di incontrare qualche amico e ripartire per Lampedusa. 
Invece sono rimasto nove giorni a girare l’isola con Alessandro Ciulla e Gaspare Macaluso, ad ascoltare il magnifico siciliano dei suoi abitanti, osservandone per la prima volta la faccia contadina, nascosta, come le notti buie sul molo e le stradine illuminate dai fari dell’Ape,  bagnate dalla pioggia, i gatti silenziosi e i 'continentali' come Lalla che sono rimasti, stregati dalla magia della natura tutti sospesi in una specie di altrove fuori dal tempo, dalla sua accelerazione lineare e priva di senso. 
Mi sentivo perso e senza pace quando ero sceso sull’isola all’alba di quell’otto dicembre. Dieci giorni dopo, andando via, mi sembrava di avere ritrovato in quel posto remoto, lieve e severo come certe favole, un po' di pace e un po' di me stesso.

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