TEATRO, AGORA', CASE: UN GRANDE CANTIERE DI RICERCA ARCHEOLOGICA RIDISEGNA IL VOLTO DI AKRAGAS di Maria Serena Rizzo

Si torna a scavare nella Valle: sono ripresi infatti da qualche settimana gli scavi nell’area del cosiddetto “tempio romano”, una parte del grande spazio pubblico che si estendeva, in età ellenistica e romana, sul poggio di San Nicola; nel frattempo, una missione composta da studenti e docenti delle Università di Catania e di Enna e del Politecnico di Bari ha intrapreso una breve campagna di saggi archeologici nell’area del teatro ellenistico, in attesa che vengano rimossi gli intoppi burocratici e si possa dare il via ad una più vasta indagine programmata con i fondi del Parco.

Nel giro di qualche mese, inoltre, dovrebbe avere inizio (il condizionale è inevitabile quando si ha a che fare con appalti, gare, possibili contenziosi…) una imponente campagna di scavi e restauri nel Quartiere Ellenistico-Romano, finanziato con 3.960.000 euro nell’ambito del PON “Cultura e Sviluppo” FESR 2014-2020.

Nella tarda estate, inoltre, arriveranno, come avviene già da qualche anno, la missione tedesca dell’Università di Augsburg e quella italiana dell’Università di Bologna, impegnati rispettivamente nel santuario extraurbano di Sant’Anna e nel Quartiere Ellenistico-Romano.

Nel giro di qualche mese, dunque, il Parco della Valle dei Templi sarà un grande cantiere di ricerca, nel quale lavoreranno, insieme ad alcune decine di operai esperti nello scavo, archeologi, architetti, paleoantropologi, paleobotanici, archeozoologi, geologi, esperti di rilievo 3D, provenienti da Università ed esperienze diverse e dunque portatori di approcci, metodologie, tecniche differenti, che avranno l’occasione per incontrarsi e confrontarsi, tra loro e con lo staff tecnico-scientifico del Parco, su un tema assai intrigante: la costruzione di una nuova immagine della città antica. Come i recenti clamorosi risultati hanno dimostrato, infatti, il quadro che decenni di ricerche pionieristiche, condotte con mezzi infinitamente meno efficaci di quelli dei quali disponiamo oggi, ci hanno tramandato, pur valido nel suo complesso, può essere aggiornato ed arricchito, grazie ai nuovi approcci della ricerca archeologica ed all’uso delle moderne tecnologie. E una nuova immagine della città sta già in effetti iniziando a delinearsi, con il suo impianto urbanistico regolare basato su isolati meno allungati di quanto non fosse stato ritenuto finora, con la sua struttura scenografica a terrazze, con la sua grande area pubblica centrale simile a quella delle città ellenistiche del Mediterraneo orientale, conclusa a Sud-Est dal grande edificio teatrale; ed è una città che cambia, lontana dall’immagine statica alla quale eravamo abituati e che lo stesso nome di “Valle dei Templi” ha fissato, quasi che, distrutta dai Cartaginesi la città “più bella dei mortali” di Terone e di Empedocle, dei grandi templi della collina, Akragas non avesse vissuto che una lunga e sonnacchiosa decadenza: quell’immagine che ancora induce tanti, delusi dall’idea che il teatro di Agrigento sia ellenistico se non addirittura, cosa ben più grave, romano, a chiedere speranzosi “ma il teatro del V secolo…?”. Oggi riusciamo, meglio di quanto già non si fosse fatto finora, a seguire le trasformazioni di un centro urbano che sa riprendere vita dopo ogni sconfitta e distruzione, il cui assetto ed il cui aspetto si modificano, adeguandosi alle tendenze urbanistiche ed architettoniche che accomunano il Mediterraneo ellenistico e romano, che si arricchisce di spazi monumentali e di case lussuose, che ha i suoi nuovi luoghi di culto, forse meno imponenti ma non meno impegnativi e ricchi di significato di quelli ben noti di età classica; e iniziamo a comprendere, meglio che in passato, i tempi e i modi nei quali Agrigentum partecipa ad un fenomeno che è ancora una volta mediterraneo, la fine della città antica e lo sviluppo di una nuova immagine di città, quella dislabbrata, frammentata, semirurale di epoca altomedievale.

Su tutto questo, l’ho già detto, lavorano una accanto all’altra e insieme a noi archeologhe del Parco numerose équipe di ricercatori, tra le quali ha avuto un ruolo rilevante, nei risultati ottenuti di recente, una squadra composita, il cui asse portante è costituito dagli architetti e dagli archeologi del DICAR del Politecnico di Bari, ma che annovera numerose figure provenienti da altre importanti istituzioni scientifiche e che è animata da Luigi Caliò, oggi all’università di Catania, cui si devono molte delle intuizioni che hanno condotto alle scoperte dell’ultimo anno. E’ questo uno degli aspetti del nuovo corso del Parco che mi preme particolarmente valorizzare e che certamente sta contribuendo a creare quell’idea di una realtà aperta e dinamica che si sta diffondendo in Italia e non solo: l’apertura alla collaborazione con gli istituti di ricerca che vogliano lavorare sull’archeologia agrigentina e il clima di condivisione e continuo scambio di dati ed idee che tutti riconoscono come una caratteristica non comune del Parco di Agrigento. C’è infatti una condizione a cui devono assoggettarsi quanti fanno ricerca da noi, ed è quella di rendere immediatamente pubblici e disponibili i risultati dei propri studi, anche grazie ad uno strumento di cui il Parco sta finalmente riuscendo a dotarsi e che è il frutto di una collaborazione di lungo corso, quella con la cattedra di Topografia Antica dell’Università di Palermo: si tratta di un web-GIS, un sistema informatico che serve ad immagazzinare e gestire dati, nel nostro caso dati archeologici, su base geografica e che sarà presto consultabile in rete.

E’ indubbiamente un momento felice quello che il Parco sta vivendo, da moltissimi punti di vista, tra i quali quello della ricerca non è secondario ed è il frutto della scelta, operata dal direttore e dall’intera struttura dell’ente, di investire denaro e risorse umane in questo campo. L’esperienza dei mesi appena trascorsi, d’altronde, ha dimostrato che quello speso nella ricerca è denaro ben investito e che produce effetti positivi non soltanto, aspetto essenziale, perché aumenta le nostre conoscenze, ci aiuta a vedere in una nuova prospettiva le vicende della città antica, pone nuovi problemi storici ed archeologici, ma anche perché contribuisce ad aumentare l’interesse e l’attenzione, a livello locale, nazionale ed internazionale, sulla Valle e sulla nostra città. Ovviamente ci auguriamo che anche questa nuova stagione di ricerche sia fruttuosa almeno quanto quelle appena concluse: in primo luogo, naturalmente, nell’area del teatro, che speriamo di riuscire a mettere in luce in gran parte, obiettivo raggiungibile se, come sembra, ai fondi del Parco si aggiungeranno quelli promessi dal Ministero nell’ambito del “Patto per il Sud”; ci aspettiamo di poter precisare l’epoca in cui è stato costruito e quella in cui è stato abbandonato, ma tenteremo anche di capire in che modo era utilizzata l’area prima che venisse costruito l’edificio che vediamo oggi. Verificheremo inoltre se davvero, come è stato ipotizzato, nella summa cavea sorgesse un santuario, come spesso avviene nei teatri antichi. E, come tutti gli agrigentini, incroceremo le dita, augurandoci che la parte inferiore della cavea, l’orchestra e l’edificio scenico siano stati protetti e conservati dallo spesso interro depositatosi nei secoli. Completeremo l’indagine archeologica dell’Isolato II del Quartiere Ellenistico-Romano e potremo scavare buona parte dell’Isolato IV, avendo così la possibilità di indagare per la prima volta, dopo gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, anche gli strati formatisi nelle epoche più tarde di frequentazione dell’area, ottenendo informazioni essenziali sulla sorte dell’abitato in epoca tardoantica ed altomedievale e sull’epoca di abbandono della città nella Valle; potremo comprendere meglio, scavando stratigraficamente, la genesi e lo sviluppo dell’impianto urbanistico e la storia delle singole abitazioni; capiremo in quale contesto fosse inserito l’edificio termale che abbiamo già in parte messo n luce e cercheremo dati per definire l’epoca della sua costruzione. Otterremo certamente informazioni importanti sull’area del tempio romano, ed in particolare sul momento in cui il santuario ha perso la sua funzione originaria, sul modo in cui il suo assetto è stato modificato successivamente, sul suo utilizzo più tardo; lavoreremo per rendere il complesso piazza/tempio più comprensibile ai visitatori.

Ci aspettiamo poi che gli studenti che, venendo da diverse università, parteciperanno agli scavi animino i cantieri con la loro curiosità ed il loro entusiasmo e che il Parco diventi anche un luogo di formazione di quei giovani che potranno forse un giorno trovare qua le loro opportunità di lavoro. Ci aspettiamo infine che gli agrigentini, e non solo loro, partecipino nuovamente con l’attenzione e l’interesse dello scorso anno a quanto avverrà nei nostri cantieri, seguano i lavori, pongano domande, ci stimolino con i loro dubbi. Noi torneremo a fare di tutto perché questo avvenga, ponendo ancora più attenzione alla comunicazione delle ricerche, riproponendo le dirette dagli scavi, aprendo, come sempre, i cantieri alle visite, rendendo sempre più pubblica la nostra archeologia.