IL VERO OLTRE I FATTI di Pepi Burgio

Stipati in un sobrio soggiorno fiorentino, dieci studenti della locale università ascoltano ammirati un’informale lezione di Estetica. A intrattenerli è Sergio Givone, autore di numerose e importanti opere filosofiche, studioso che avremmo desiderato avere come maestro. Gli studenti hanno belle facce, serene e luminose; eppoi, ci ricorda il Talmud, i discepoli son come figli. Giusto quindi accoglierli a casa propria. Affrontato il tema della differenza di statuto tra le verità delle scienze naturali e quelle delle cosiddette scienze umane, Givone si sofferma su una delle principali conseguenze della affermazione di Nietzsche i fatti sono stupidi, sono intelligenti soltanto le interpretazioni: verità e menzogna, uscite dal loro irrelato isolamento, si sono ibridate riversandosi l’una sull’altra.

E allora, non disponendo più di certezze assolute, oggettive, il mondo, dice Nietzsche, è diventato favola. Cioè affabulazione, racconto, in tutti gli svariati linguaggi che l’espressione umana dispiega. Per Givone essa costituisce il carattere peculiare del moderno. Già i Latini avevano compreso che la verità a cui misteriosamente accedono i poeti, si dipana secondo modalità narrative fantastiche: per fabulas poetae veritate. Ma fin qui niente di nuovo. Di maggiore interesse è invece la riflessione di Givone quando afferma che l’estetica romantica, più che per avere anticipato Nietzsche di cent’anni, con Novalis ha attestato che il mondo, se vuole ritrovare la sua verità, deve farsi favola. Ovvero dichiarando prescrittivamente ciò che in Nietzsche si configurerà soltanto come riconoscimento di quanto già avvenuto.

Per Enzo Paci, in Novalis i confini tra filosofia come ricerca e poesia sono molto labili. A tal proposito Claudio Magris ricorda che negli anni compresi fra la fine del settecento e i primi dell’ottocento, anche e soprattutto grazie a Novalis, nel vivo della temperie romantica la Germania ha proposto una prodigiosa contaminazione di arte, letteratura e filosofia. Nei Frammenti Novalis dice che soltanto un artista può indovinare il senso della vita (773); o più avanti, nel frammento 1186, che la poesia è il reale, il reale veramente assoluto. Questo è il nocciolo della mia filosofia. Quanto più poetico, tanto più vero. Ed il reale-poetico che si dà come evento, ci viene incontro, secondo Givone, mediante le narrazioni più diverse che si svolgono in forme e modi sempre nuovi. La verità che si rivela nelle storie, nei miti, nei racconti, nelle rappresentazioni pittoriche, in quelle musicali etc., non dice come stanno oggettivamente le cose, ma ci situa in un orizzonte che ci comprende. Per proporci di diventare ciò che si è, sottraendoci alla brutalità di un mondo appiattito sull’esistente. Novalis, morto a ventinove anni, soave e demonico eversore della narrativa tradizionale (Magris), nell’ultimo dei suoi frammenti, il 1790, afferma: erigere mondi non basta al senso che penetra in fondo: ma un cuore che ama sazia la mente di chi aspira al sublime. Sarà, non so.