SAPERE ASCOLTARE. VIRTU' RARA MA SEDUTTIVA di Pepi Burgio

In fondo lo abbiamo sempre intuito. Come dice quel tale, a scrivere ricette siamo tutti bravi, più o meno. Ma l’evidenza dell’esperimento scientifico, vuoi mettere, è altra cosa. Qualche settimana fa le pagine dedicate alla scienza dal Corriere, riferivano i risultati di una ricerca condotta dalla Fondazione Onlus Giancarlo Quarta di Milano in collaborazione con l’Università di Udine, che si è avvalsa di una metodica basata sulla risonanza magnetica funzionale: se la relazione tra medico e paziente è improntata ad autentica empatia, la cruda terapia, quando si mutui in cura, ne trae un indubbio vantaggio.

Che è possibile apprezzare osservando il funzionamento di complesse reti neuronali con le quali il cervello governa processi decisionali e comportamenti. Infatti, come recita con efficacia il titolo dell’articolo, Tra medico e paziente la relazione è vera cura.

L’articolo prosegue indicando i neuroni che vengono attivati dalla relazione interpersonale mediante l’influenzamento (aiuto concreto ed incoraggiante), e la valorizzazione (approvazione dei comportamenti del paziente). Sono inoltre prescritte alcune modalità comportamentali, gli aspetti biopsicosociali ed emotivi, a cui il medico dovrebbe attenersi nei confronti del paziente: alzarsi ed andargli incontro; al primo incontro presentarsi dicendo nome e cognome; stringergli la mano; restare con il corpo orientato verso di esso; mostrare segni di attenzione, verbalmente o annuendo; girare lo schermo del computer in modo che sia visibile anche al paziente; a fine visita chiedergli di ripetere i punti salienti dell’incontro.

Questa prammatica, che a tutta prima sembra oscillare tra il bon ton ed il politically correct, attiva invece precisi e differenti circuiti cerebrali.

In fondo l’avevamo sempre intuito: in assenza di empatia la relazione non si dà. Nell’insegnamento, ad esempio, senza tensione erotica le informazioni si arrestano alla soglia dell’insignificanza.

Riferisco succintamente i dati di questa ricerca, sollecitato ancora una volta da una suggestione letteraria: un paio di pagine del romanzo autobiografico di Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, in cui l’autore, in due momenti diversi, ricorda con accenti malinconici e ammirati, la cara figura della maestra Zelda, e quella particolarmente affascinante del nonno. Ma in cosa era riposto l’irresistibile magnetismo di quest’ultimo?

Non carpiva le frasi della sua interlocutrice per terminarle al posto di lei. Non la interrompeva e non saltava dentro il suo discorso per arrivare al dunque e passare oltre. Non lasciava che lei parlasse al vento mentre lui pensava che cosa risponderle quando avesse finalmente finito [...]. Niente insofferenza. Niente manovre per portare la conversazione dai futili argomenti di lei a quelli cruciali di lui. Forse, dice ancora Oz, sono riuscito a capirlo soltanto anni dopo. Nonno era dotato di una qualità quasi irreperibile negli uomini, una virtù straordinaria che forse è per le donne più sensuale di qualunque altra cosa: lui ascoltava.

Un pò come l’amata maestra Zelda, a cui l’autore dedica pagine memorabili: Solo la maestra Zelda mi ascoltava: e non come una zia di buon cuore che presta stancamente, per pietà, il suo orecchio esperto ad un ragazzino tocco e scatenato. No. Lei mi ascoltava con lentezza e serietà, come se stesse imparando da me cose che le piacevano e la incuriosivano.

Saper ascoltare: non è facile, non è poco. Chiara la suggestione.

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