A FABIO, DALLA FORESTA SIMBOLICA E VERA di Pepi Burgio

Camminavamo, insieme e separati, fra le brusche deviazioni della foresta. 

E' sera tardi, quando un paio di pagine di Fernando Pessoa incrociano l'urgenza di scovare parole esatte in onore di Fabio. Chiamo Giando. E' d'accordo. Forse domani in chiesa... Le leggo e le rileggo, davvero molto belle, anche se a tratti faticose.

Ma procedevamo anche disgiunti perché eravamo due pensieri e non avevamo null'altro in comune se non il fatto che ciò che non eravamo calpestava all'unisono lo stesso terreno udito. 

Occorre però sentire i parenti. Giusto. Buonanotte, a domani. Ma di sicuro a lui sarebbero piaciute: quella foresta “simbolica e vera, il finire di un giorno, di tutti i giorni, in un autunno di tutti gli autunni”. Scusami ancora. Se troppo lunghe, taglia. Lo so che non va bene. Pessoa, poi... Vedi un po', sei tu che dovrai leggere. Buona notte.

Quali case, quali doveri, quali amori avevamo lasciato – noi stessi non avremmo saputo dirlo. In quel momento non eravamo altro che viandanti fra ciò che avevamo dimenticato e ciò che non sapevamo, cavalieri appiedati dell'ideale abbandonato. Ma in tutto ciò, come nel suono costante delle foglie calpestate e nel suono sempre brusco del vento incerto, c'era la ragion d'essere della nostra partenza o del nostro arrivo, giacché, non conoscendo il nostro cammino o il perché del cammino, non sapevamo se stavamo partendo o arrivando. E sempre, intorno a noi, senza sapere dove e senza vederne la caduta, il suono delle foglie che precipitavano addormentava di tristezza la foresta.

Albeggia, finalmente. Ma un cielo di sabbia prolunga la febbre della notte. Ma sì, un qualche dire è gradito, anzi sollecitato, assieme ad un suo esplicito ricordo. Ovvio. Giando rilegge il testo. Certo non è immediato, e poi la chiesa piena... Ma dei suoi amici, delle sue amiche. 

Nessuno di noi voleva sapere dell'altro, tuttavia nessuno di noi avrebbe proseguito da solo. La compagnia che ci facevamo era una specie di sonno che ognuno di noi aveva. Il suono dei passi all'unisono aiutava ognuno di noi a pensare senza l'altro, e il suono di passi solitari l'avrebbe di certo svegliato.

Però, giunto il momento delle parole di Pessoa prestate a Giando, insuperabili obiezioni degli officianti frustrano ogni dire. E noi, niente più che “ascoltatori anonimi e impossibili di foglie che cadono”, ci ritiriamo in buon ordine, più avviliti che irritati. Un po' come Amedeo, ricordate, quel personaggio strampalato interpretato da Jannacci nel film L'udienza di Marco Ferreri, che con drammatica ostinazione, delirante maniaco, pretendeva di essere ricevuto dal Papa. Ma la Chiesa è un Sacro Corpo ordinato gerarchicamente. E quindi le regole, inderogabili: “non è proprio il caso di insistere”, ci verrà piccatamente ricordato. 

Chi eravamo? Eravamo in due o due forme di uno? Non lo sapevamo né ce lo chiedevamo. Un sole vago doveva esistere, poiché nella foresta non era notte. Una meta vaga doveva esserci, giacché camminavamo. Un mondo qualsiasi doveva esistere, giacché esisteva una foresta.

Questo, o poco altro, il contenuto, “innocente come un sandalo d'asceta”, che Giandomenico avrebbe letto in memoria di Fabio alla sua famiglia. Niente di più.

...e assistetti, senza vederne la fine, alla tragedia del fatto che non ci fosse mai più nient'altro se non l'autunno e la foresta, e il vento sempre brusco e incerto e le foglie sempre cadute o che cadono. E sempre, come se al di fuori ci fossero di certo un sole e un giorno, si vedeva chiaramente, senza nessuna meta, nel silenzio rumoroso della foresta.

 

 

 

 

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