IL PROSSIMO COME INGOMBRO di Pepi Burgio

C’è nella prima parte di Saggio sul luogo tranquillo di Peter Handke, l’immediata possibilità di riconoscervi i luoghi interiori dell’infanzia e dell’adolescenza. Di certe infanzie, di certe adolescenze. E di scoprire a tratti un idem sentire con l’autore se evoca l’attrazione di qualche adolescente per “le chiese vuote e i cimiteri cittadini”. Sembra che i luoghi tranquilli siano quelli in cui ci si sentiva “protetti e liberi insieme”.

Tale percezione marcava un particolare fastidio per quello in cui gli adulti speravano e i coetanei erano disposti a esperire; cioè il gusto di affermare una soggettività, singola o di piccolo gruppo che fosse, ribelle e scapigliata.

Ancora oggi, dice Peter Handke, “non so perché qualcosa in me opponesse resistenza all’idea di essere parte della compagnia”.

Saggio sul luogo tranquillo, a dispetto del titolo, espone in maniera frammentaria e diaristica il riconoscimento delle posizioni che la vita dell’autore ha assunto nel corso del tempo: la fuga dalla calca, il bisogno di defilarsi dai quadri familiari e sociali, fino al racconto nitido, letterale, della ricerca del confessionale, “lontano dai compagni rimasti nei banchi della chiesa”. Non è difficile, per chi ha maturato una sensibilità affine a quella dell’autore, riconoscersi in questa descrizione: “non di rado venivano momenti in cui desideravo di giacere in una delle stanze dell’infermeria del collegio”.

Poi, un disteso acquietamento tra le penombre del bagno del tempio giapponese, di cui scrive Tanizaki, “laddove lo spirito trova quiete” e coglie ciò che è appartato, il particolare. “Tanizaki nella sua lode dei bagni del tempio giapponese celebra le pareti dalle sottili venature lignee, e soprattutto la porta scorrevole, la cui griglia di legno, rivestita di carta trasparente dal colore chiaro, lascia filtrare dall’esterno solo un riflesso opaco”.

I luoghi tranquilli non hanno consistenza oggettiva, pretendere di tratteggiarne i caratteri è esercizio scivoloso, essi si danno solo nella forma di una soggettività irripetibile. Dice Peter Handke che luogo tranquillo può essere una pausa, un cambiamento di direzione, un passo all’indietro, il semplice atto di trattenere il respiro. Luogo tranquillo, ad esempio, è quando Larry Mc Murtry, autore de L’ultimo spettacolo, così dice di Sonny, il giovane protagonista del romanzo: “Lui bevve dell’altro bourbon e osservò la luce intermittente dei lampi che sbiancava le pianure. In quel momento ebbe la sensazione di avere tutta la vita davanti.”

Ma la ricerca inconsapevole di questa condizione, in qualche raro caso può approdare ad una sponda. E allora, infine, “l’alzarsi e l’andarsene” guadagnano il Luogo Tranquillo. Ma, raccomanda Handke, in disparte.

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