"IL GRANDE GATSBY": RIPENSARE IL SUO EPILOGO di Pepi Burgio

Pare che un grande poeta abbia detto che l’abbrivio di una composizione letteraria sia dettato da Dio. Come spiegare altrimenti, sennò, quello de L’uomo senza qualità di Robert Musil o di Ferito a morte di Raffaele La Capria? O il primo verso di La sera di fiera di Dino Campana: Il cuore stasera mi dice: non sai?, o i primi due di Notizie dall’Amiata di Eugenio Montale: Il fuoco d’artifizio del maltempo/ sarà murmure d’arnie a tarda sera. Il Dio dei letterati, poeti o prosatori, è lauto nel dispensare gli incipit. Chiedo: c’è anche il Dio degli epiloghi? Davvero non saprei, in molti però riconoscono  nelle righe finali de Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, una delle chiuse più affascinanti del romanzo del ‘900: E mentre me ne stavo lì a rimuginare sul vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby nello scorgere per la prima volta la luce verde in fondo al pontile di Daisy. Aveva fatto tanta strada per avere questo prato blu e il suo sogno deve essergli sembrato così vicino che difficilmente gli sarebbe sfuggito. Non sapeva che era già alle sue spalle, nei recessi delle vaste tenebre che si aprivano dietro la città, dove i campi bui della repubblica si estendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, l’orgastico futuro che anno dopo anno arretra davanti a noi. Ci è sfuggito una volta, ma non importa - domani correremo più veloce, tenderemo le braccia più avanti… e un bel mattino…

Così continuiamo a remare, barche controcorrente, sospinti senza posa nel passato.

         Alcuni hanno sottolineato il felice romantico intreccio di vicenda personale e declino di un’epoca, reso dal solenne lirismo dell’autore; altri, come Tony Tanner (autore di un magnifico saggio scritto alcuni anni fa, che ora appare come postfazione alla nuovissima edizione del romanzo per Neri Pozza Editore), hanno posto l’accento sulla irriducibile polivalenza dell’opera. Gatsby, personaggio sospetto, enigmatico, a dir poco ambiguo, è evanescente quanto il sogno americano. Eppure l’inganno e la menzogna su cui ha edificato se stesso e la propria grande fortuna, non rappresentano un intralcio morale per accoglierlo emotivamente. La generosità di Gatsby è debordante, sproporzionata al nulla che riceve; egli è in fondo un solitario, un malinconico che vive ingenuamente il proprio tempo nutrendo ancora il sogno di un’adolescenza eterna. La misteriosa luce verde che allude al futuro, rivela piuttosto l’ombra inquietante di un tempo nuovo per sempre risolto. Anche per questo, dice Tony Tanner, Gatsby ti si ficca nel cuore, per via di quella pulsione empatica che muove verso gli sconfitti.

         Qualche lustro fa, un geniale economista di squisita sensibilità letteraria, Geminello Alvi, de Il Grande Gatsby si è occupato alla sua maniera, combinando cioè il rigore della scienza economica e la riflessione sul carattere profetico che in particolare l’ultima pagina del romanzo riveste.

Nel 1925 (attenti alle date), anno di pubblicazione de Il Grande Gatsby, negli Stati Uniti, secondo Alvi, come in quasi tutto il decennio, domina un agire economico mai parsimonioso, sventato, e in ogni evidenza mai adatto a un Robinson; solo Gatsby può fare immaginare adesso cosa furono gli anni Venti in America. Per Alvi, nel corso di gran parte di quel decennio, in maniera repentina gli Stati Uniti evolvettero dalla barbarie alla decadenza, e molti, come Gatsby, dilapidarono un denaro che non avevano; altro che “favolosi anni ’20”. Fitzgerald consegna quindi con il magico finale del romanzo, un vertice assoluto di eleganza espressiva e insieme la lucida coscienza del carattere illusorio del sogno americano che Gatsby incarna; il futuro, la luce verde, è ormai da tempo alle spalle, irrimediabilmente. Lo stesso Gatsby, nelle pagine precedenti, ha affermato di avere accumulato una ricchezza così grande, nel triennio 1920-’23. Da allora, dice Alvi, riconosco l’America come il luogo dell’invecchiarsi adolescenziale del mondo.

         Il Grande Gatsby, prossimo assai al coglimento dei chiaroscuri dell’esistere, è anche per questo un modello eclatante di letteratura come forma di conoscenza. Forse, andrebbe riletto.

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