IN RI-CORDO DI FABIO di Pepi Burgio

I ricordi, per complesse alchimie, talvolta conducono a corrispondenze distorte, piegate dagli svolazzi della fantasia e dall’insulto impietoso del tempo.

            I ricordi che affollano i nostri pensieri, disputano all’oblio le di-menticanze. Infatti, l’atto del ri-cordare, che ha a che fare col cuore, un tempo ritenuto sede della memoria, è in tensione speculare col suo contrario: non si può cioè richiamare alla mente se non ciò che ordinariamente è confinato nella dimenticanza. Dice appunto Plotino, “il ricordo è per quelli che hanno dimenticato”.

            E allora, al nostro caro Fabio, a due anni dalla sua partenza, una dedica: alcuni ritagli dall’Henry Brulard di Stendhal, poiché dimenticarlo oggi proprio non possiamo. Fra cent’anni, chissà. Ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

 

Il mio amico, al quale dicevo tutto, era un giovanotto molto intelligente, di nome Lambert, cameriere del nonno. Le mie confidenze spesso annoiavano Lambert e, quando gli stavo troppo addosso, mi tirava uno scappellotto secco secco e proporzionato alla mia età. Gli volevo ancora più bene per questo.

Lambert aveva delle ambizioni, era scontento della sua sorte, per migliorarla si mise ad allevare bachi da seta.

Questo mio amico, il migliore che avessi, aveva comprato un gelso e allevava i suoi bachi da seta nella camera di qualche amante.

Raccattando lui stesso le foglie di questo gelso, cadde, ce lo riportarono sopra una scala. Mio nonno lo curò come un figlio. Ma aveva la commozione cerebrale, la luce non impressionava più le sue pupille, in capo a tre giorni morì. Durante il delirio che non lo abbandonò mai lanciava delle grida pietose che mi trafiggevano il cuore.

Conobbi il dolore per la prima volta in vita mia. Pensai alla morte.

Lo schianto prodotto dalla perdita di mia madre era stato un eccesso di follia nel quale entrava, mi sembra, molto amore. Il dolore della morte di Lambert fu il dolore come poi l’ho provato per tutto il resto della mia vita, un dolore meditato, arido, senza lacrime, senza consolazione. Ero affranto e sul punto di cadere quando dieci volte al giorno entravo nella camera del mio amico e guardavo la sua bella faccia, era morente e stava per spirare. Non dimenticherò mai le sue belle sopracciglia nere e quell’aria di forza e di salute che il delirio non faceva che accentuare.

Ho visto una volta, in Italia, un’immagine di san Giovanni che guardava crocifiggere il suo amico e il suo Dio che mi attrasse d’un tratto per il ricordo di quello che avevo provato venticinque anni prima alla morte del povero Lambert.

Potrei riempire ancora cinque o sei pagine di ricordi chiari che mi restano di questo grande dolore. Lo inchiodarono nella bara, lo portarono via…

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