MASSACRO E RIMORSO di Pepi Burgio

La strada di Bucha dove poveri corpi per sempre assopiti impongono pietose traiettorie, Lev non potrà dimenticarla. Dentro gli strugge qualcosa, come un tremore che ignora la quiete, turba le viscere, piega le palpebre e flette le labbra. Gli allegri ricordi prima trattenuti rivelano l'orgoglio per la sua brigata, la 64ª di artiglieria motorizzata giunta fin lì da Chabarovsk che è quasi Cina; e il contagioso sorriso dei compagni con l'entusiasmo dei ventenni siberiani, resi immortali da un magnifico scatto che in nulla sa di morte.

E invece. La cronaca racconta di due tank russi, quello di testa e quell'altro di coda, colpiti dai combattenti ucraini per bloccare forse l'intera colonna corazzata; e quindi l'agevole tiro al bersaglio dei droni e dell'artiglieria ucraina, e i giovani soldati russi che in preda al panico fuggono la fitta pioggia di fuoco. Da qui il furore cieco e assassino contro gli inermi, la paura che fa vigliacchi gli uomini e muta in un attimo in orrore l'innocenza. E, come un'ombra, si accoda a Lev, ai suoi vent'anni, l'insopportabile peso del rimorso; e da allora, come in quel romanzo, saranno poche le notti in cui, sdraiato nel buio, non proverà invidia per i morti. E Boris, suo commilitone che come lui ha gli occhi a mandorla, gli chiede "tu vorresti morire?". Lev risponde "no, ma forse vorrei essere già morto".

Come in quel romanzo.

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