WILHELM VON GLOEDEN E IL NUDO MASCHILE di Margherita Biondo

Nella storia della fotografia, e di tutte le arti in genere, le nudità hanno fatto fatica ad essere accolte come forma legittima di manifestazione artistica. Ci sono voluti secoli prima che il concetto di "Nudo d'Autore" venisse accettato come espressione di una cultura capace di identificare nella pratica del nudo al base dello stesso processo di apprendimento e del fare arte. Il corpo umano senza veli appare già nell'arte figurativa della preistoria e si prolunga sino all'età contemporanea con motivazioni, ragioni e significati diversi che lo evidenziano come simbolo, allegoria o forma ideale. La sua rappresentazione, sotto svariati aspetti e per varie finalità, ha costituito il patrimonio dei più grandi artisti che si sono impegnati a studiarlo per raffigurarlo al meglio e non senza difficoltà. Oggi rimane molto della tradizione centenaria del nudo e moltissimo vi si aggiunge una volta accettata la fotografia tra le arti maggiori o, comunque, una volta inclusa la sua struttura nelle varianti tecniche della pittura. 

Nel 1878 arrivò a Taormina un giovane artista tedesco sperando di trovare nei paesaggi di Sicilia ciò che per lui e per i suoi conterranei rievocava l'incarnazione stessa del mito. Wilhelm von Gloeden, detto il barone Guglielmo, si innamorò delle bellezze dell'isola, dei luoghi che sembravano avere incastonato il tempo, dell'aspra magnificenza dei paesaggi lambiti dal mare, delle campagne ammantate da un sole inclemente e del profumo delle zagare. Pittore che a Taormina si scoprì fotografo, Von Gloeden fu noto soprattutto per i suoi studi di nudo maschile in ambiente pastorale di ragazzi siciliani che fotografava assieme ad anfore o costumi ispirati all'antica Grecia per suggerire una collocazione idilliaca nell'antichità che rimanda all'Arcadia. Affetto da una leggera forma di tubercolosi, l'artista si trasferì nell'Italia del sud, prima a Napoli quindi a Taormina dove acquistò una casa in piazza San Domenico e dove realizzò diverse forme di immagini per accontentare le varie richieste del mercato: dai tipici paesaggi siciliani alle foto di monumenti artistici, dalle foto di personaggi (contadini, pastori e pescatori in costume folkloristico) fino alle rappresentazioni classicheggianti e a quelle di nudo, soprattutto maschile. Egli scrisse nel 1898: "le forme greche fanno appello a me come i discendenti bronzei degli antichi elleni; ho cercato di resuscitare l'antica vita classica nella fotografia". Si trattava tuttavia di un escamotage pretestuosamente arcadico volto a mascherare il fine ultimo di tali immagini per stimolare le fantasie sessuali di tipo omoerotico di facoltosi turisti stranieri in visita in Sicilia. Divenuto una celebrità locale a Taormina, Gloeden con il suo lavoro (e i suoi modelli) riuscì ad attirare nell'isola personaggi in vista dell'epoca tra i quali Oscar Wilde, il "re dei cannoni" Friedrich Alfred Krupp, Richard Strauss, nonché l'imperatore tedesco Guglielmo II. Dopo la sua morte le foto sono andate in eredità ad uno dei suoi modelli, il suo protetto e favorito Pancrazio Buciuni (1879-1963) noto come "Il Moro" per la pelle scura. Buciuni, che era stato l'amante di Gloeden fin da quando aveva quattordici anni, proseguì l'attività del maestro limitandosi a ristampare e a vendere le immagini da lui scattate. Nel 1933 almeno mille negativi su vetro provenienti dalla collezione ereditata da Buciuni, assieme a duemila stampe, furono confiscati dalla polizia fascista e, con l'accusa che costituivano pornografia, vennero dati alle fiamme mentre un altro migliaio di negativi andò distrutto nel 1936. E' opinione di molti critici che l'arte del fotografo tedesco si leghi alla nascita e alla diffusione del concetto di postmoderno. Da un punto di vista moderno, il suo lavoro è notevole per l'uso sapiente e controllato dell'illuminazione, così come per l'elegante messa in posa dei modelli. Alla perfezione artistica dei suoi lavori contribuirono anche l'uso innovativo dei filtri fotografici e di lozioni per la pelle di sua invenzione per mascherarne le imperfezioni. Sosteneva Gloaden: "L'imitazione di pitture antiche o moderne, gli ingrandimenti confusi ricavati da piccole negative, la grana eccessiva e numerosi altri artifici cui oggi in fotografia si ricorre, possono valere a sorprendere l'occhio ma nulla possono creare. Io non ho mai creduto che la fotografia per elevarsi debba rinnegare la sua origine". Le foto più audaci, in cui apparivano ragazzi completamente nudi in età compresa tra i dieci e i vent'anni o che, per via di contatti visivi o fisici, erano più erotiche, venivano vendute con discrezione "sottobanco" alla sola clientela che ne faceva esplicita richiesta, anche per mezzo di agenti che distribuivano le immagini in varie nazioni europee. Come dichiara il Prof. Mario Bolognari: "Von Gloeden ha operato nella direzione della modernità, interpretando un sentire del tempo e fornendo una giustificazione culturale a quei cambiamenti che aspettavano solo una scintilla per manifestarsi con pienezza, ma ha anche aperto la strada a quello che oggi definiremmo turismo sessuale". Anche se le tematiche classiche e pittoriche che caratterizzavano i suoi lavori fungevano da "copertura" e "paravento" al carattere omoerotico delle raffigurazioni, Gloden era un fotografo esperto e di talento. Tuttavia, considerati i tempi piuttosto bigotti e omofobici, fu sempre molto attento a non infrangere i limiti della "decenza" e di quel decoro che era molto importante nel piccolo paese in cui aveva scelto di vivere nonostante i suoi lavori avessero scatenato una forte reazione da parte del clero taorminese (don Marziani) che denunciò lo stato di "degrado morale e religioso" della gioventù del luogo, specialmente maschile, corrotta dal Gloeden e "vittima di vizi abominevoli". Intanto, dominato dagli influssi e dalle correnti dell'epoca, favorito inoltre dai suoi gusti idealmente inneggianti alla bellezza fisica dell'uomo, Gloeden riscosse ben presto un successo senza precedenti, facendo apparire Taormina nel mondo come una piccola capitale omerica. Tra modello e Gloeden c'era un discorso amoroso poetico, morboso ed ambiguo, che consentì al fotografo di scrutare tutti i particolari del corpo ignudo, come a capirne il mistero della bellezza statuaria e scultorea che ne attestava l'esistenza, l'espressione, l'abbandono della carne e il desiderio inconscio. I suoi scatti giocavano nel rapporto tra lo sfondo e le figure in primo piano esaltando le molteplici sfumature di ogni accostamento e dando la sensazione di atmosfere evocative nella quiete della memoria e nella dimensione del ricordo. Corpi catturati nella geografia delle loro emozioni, presenze morbide e velate, volti di adolescenti che sembravano madonne e sante, efebi ricoperti di veli trasparenti, anatomie di armonica bellezza. Atmosfere liriche dai contenuti profani in un percorso di ricerca interiore dell'immagine nel condensarsi di forme di abituale e confidenziale esperienza visiva nello spazio della carta, spazio pulsante di vita che si dilatava e si contraeva, si illuminava e si accendeva anche se nell'immobilità della posa appariva statico, bloccato in un altro tempo, di contemplazione, fuori dalla storia, luogo di assorbimento di luce come per un desiderio di restituzione del corpo all'immagine. L'invenzione artistica di Gloeden, sottratta alle apparenze sensibili per trasformarsi in esperienza intima in un apporto continuo e continuamente stabile, creò un'osmosi tra l'uomo e l'immagine che sottolinea quel carattere insieme luminoso e oscuro nella primigenia materia della bellezza giovanile trasfusa nella "fornaise umbreuse" delle emozioni. La fedeltà all'Eros rappresentò per l'artista tedesco fedeltà alla vita attraverso un rapporto intimo con l'emblematicità delle figure ritratte in termini autonomi e tuttavia sfuggenti verso il significato polisemico del simbolo. Riconsegnando l'esteriorità, come a uno specchio la sua funzione, nell'occulto senso dissono l'autore ha rafforzato la propria ambiguità, senso che emerge dallo stato formale delle tematiche ma che appartiene anche alla partitura segreta della bramosia. Una forma che implica, nel suo stato di nutritività ex imo, anche un viaggio nella memoria della propria adolescenzialità attraverso l'informe attività del "désir". Un lavoro intenso, intimo e drammatico, dove il bianco e nero marca l'assenza del tempo, parlando della giovinezza, della fugacità della vita e del tentativo della memoria di ricostruirne la perdita. Una ricerca personale non provocatoria o dissacrante, un esperto lavoro che non turba l'intimità dei modelli ma se ne impossessa attraverso uno sguardo discreto che cura nel dettaglio la composizione estetica in una dimensione atemporale tra il reale e l'immaginario, la dimensione di un'età ancora acerba immersa in una costante aura artistica.