I TELAMONI: UN MISTERO AVVOLTO IN UN ENIGMA di Giovanni Taglialavoro

“Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine” 

(Francois-René de Chateaubriand)

Un mistero si aggira nello splendore  della Valle dei templi di Agrigento: cosa erano e a cosa servivano esattamente quei giganti di pietra che si vanno trovando tra i ruderi del maestoso tempio di Zeus? Intanto come chiamarli? Telamoni, Atlanti o semplicemente giganti?

Fino a ieri ce n’erano due ricomposti: uno in verticale dentro una sala del Museo regionale di San Nicola e l’altro supino nell’area interna del tempio o di ciò che ne resta.                        Adesso ce ne sarà un terzo ricostruito in verticale, alto 8 metri e posto a guardia dei ruderi dell’Olympieion, per dare ai visitatori una percezione più realistica, dicono al Parco, delle dimensioni del tempio e che sarà inaugurato il 24 prossimo.

Quest’ultimo è stato riassemblato e messo in piedi. Operazione ardita che ha alimentato polemiche molto accese, suscitato interrogazioni parlamentari all’Ars.

“E’ la fissa di Vittorio Sgarbi – ha scritto il ricercatore Dario Stazzone – che proponeva l’anastilosi dei templi di Selinunte, è una concezione rozza e disneyana dell’archeologia, del turismo e della valorizzazione di un sito unico al mondo con la creazione di un falso attraverso l’assembramento di frammenti di diversa pertinenza, operazione che più assurda e scorretta è difficile immaginare, in violazione della storicità del luogo e dell’autenticità del monumento.”

Pronta la replica del direttore del Parco Archeologico di Agrigento Roberto Sciarratta: “Non c’è stata nessuna anastilosi  bensì il riassemblaggio delle parti di Telamone, tra l’altro scavati da Pirro Marconi negli anni ’20, abbastanza noti e conosciuti, su rilievo di Heinz-Jurgen Beste dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, che tra il 2005 e il 2008 ha condotto un’estesa campagna di studi  che ha portato a completare un nuovo rilievo sistematico dei resti dell’Olympieion e dei suoi importanti elementi architettonici.”

Polemiche a parte, dicevamo del mistero. Intanto la scena dell’enigma: l’Olympieion, un tempio unico per dimensioni e forme.

Un tempio fortemente ideologico. Doveva essere il simbolo della vittoria dei Greci di Sicilia contro i Cartaginesi, nella battaglia di Imera nel 480 a.C., dove l’esercito degli Akragantini e dei Siracusani sconfiggeva quello cartaginese. Una catastrofe per Cartagine: solo ad Agrigento furono condotti 25mila prigionieri ridotti in schiavitù. Con il loro lavoro, guidato dalla perizia architettonica e artistica dei maestri greci, furono innalzati i principali templi dorici della Valle dei templi, il più maestoso dei quali dedicato a Zeus.

Un tempio carico di messaggi. Per le sue dimensioni, 122 metri di lunghezza e 56 di larghezza (poco più del terreno di gioco di uno stadio di calcio odierno) a simboleggiare la magnificenza di una polis in grande espansione; e poi per quella particolarità, rarissima se non unica nel mondo classico, dei Telamoni, giganti di pietra posti, secondo l’ipotesi ricostruttiva più accreditata, tra le colonne a reggere la trabeazione del monumento: potevano simboleggiare i Cartaginesi sconfitti condannati a sopportare il peso dell’Olympieion.

Empedocle che vide i lavori in corso scrisse che “gli Akragantini costruiscono come se non dovessero morire mai”, aggiungendo profeticamente che però “mangiano come se dovessero morire l’indomani” cogliendone l’indole poco avvezza ai sacrifici, quell’indole che pochi decenni dopo si sarebbe rivelata fatale per la sopravvivenza della città sopraffatta dalla rivincita dei Cartaginesi, favorita dal tradimento delle milizie mercenarie che aprirono le porte ai nemici, 406 a.C.

Il tempio di Zeus non fu mai completato, testimonia Diodoro Siculo che però ne rimarca la straordinaria bellezza e la  grandiosità unica.

Quando lui scrive, siamo in piena età romana, la città si restringe e si monumentalizza attorno al foro, ma il tempio di Zeus resta l’attrazione principale della città, ne farà cenno anche Polibio, tanto che, cosa davvero unica, Diodoro lo descrive nei particolari architettonici.

E’ qui riprende il nostro mistero. Perché non cita i Telamoni? Descrive nei dettagli le semicolonne, le dimensioni delle scanalature, i temi scultorei dei portici occidentali e orientali, la Gigantomachia e la guerra di Troia, ma nessun cenno all’elemento di maggiore singolarità, appunto i giganti posti tra le colonne. Perché? Eppure per tutto il medio evo, quando il tempio diventa una cava, cui si ricorre per costruire gli edifici religiosi e pubblici della nuova Girgenti appollaiata sulla collina, la zona è chiamata  “cava gigantium“ perché restano visibili alcuni giganti in piedi a sorreggere parti dell’edificio. Ne abbiamo testimonianza iconica in una scultura custodita al museo diocesano che cita con ogni evidenza quel reperto e nello stemma del comune di Agrigento che lo riproduce: tre giganti che sostengono sulle loro spalle il monumento.

Ne abbiamo testimonianza letteraria: alcuni versi di un poeta locale inveiscono contro l’incuria degli Agrigentini quando il 9 dicembre del 1401 crolla l’ultimo angolo del tempio. Poi silenzio. Ci si dimentica dei giganti. E quando Tommaso Fazello, visita il tempio 125 anni dopo il crollo dell’ultimo angolo, testimonia che “in quel luogo a’nostri tempi non si vede altro, che un grandissimo monte di pietre, il qual dal vulgo è detto il palazzo de’ Giganti.

L’ultimo colpo spoliativo, quello definitivo, il tempio lo riceve a metà del 1700 quando torna ad essere la cava per la costruzione del porto di Girgenti, l’odierna Porto Empedocle, il cui molo di ponente viene creato coi blocchi di tufo provenienti dal tempio. Da allora diventa una spianata enorme con vari pezzi sparsi e con un angolo ancora forse risparmiato con i materiali del crollo di inizio Quattrocento.

Si torna a parlare del tempio e dei suoi Telamoni negli anni Venti dell’Ottocento quando Raffaello Politi ricostruisce, distendendolo supino nell’area del tempio, un Telamone utilizzando i pezzi che riesce a riconoscere tra le rovine. Da allora gli 8 metri di gigante sdraiato costituiscono una delle principali attrattive, un po’ inquietante, del sito. E torniamo ad oggi.

Il nuovo Telamone ricostruito sarà posizionato a nordest del tempio, la stessa che i viaggiatori dell’Ottocento in Sicilia, disegnatori e studiosi, individuavano come il punto da cui il gigante emergeva dai ruderi. Sarà sicuramente un elemento di grande attrazione. Sarà il logo materico di Agrigento capitale italiana della cultura 2025.