PALERMO CITTA' DELLE CREATURE di Vito Bianco

Quando mercoledì sera, nella bella e austera chiesa della Gancia, sono risuonate le parole del Cantico di frate Francesco intonate dal complesso vocale Cum Jubilo, nella versione che ne ha dato Clemente Terni, molti tra i presenti avranno pensato che non ci fosse modo migliore per suggellare la quarta edizione delle Giornate delle creature, anche quest'anno fortemente volute dal suo ideatore e organizzatore Daniele Moretto, che ci ha creduto nonostante le difficoltà logistiche e le inspiegabili sordità delle istituzioni palermitane (Comune e Provincia), che dovrebbero sentire invece come un dovere il sostegno a manifestazioni con un così spiccato caratttere pedagogico e politico.
Pedagogia e politica nel senso più alto e nobile, secondo il sempre attuale insegnamento di Danilo Dolci, sociologo, poeta e, soprattutto, maieuta, ovvero catalizzatore socratico di pensiero libero e antidogmatico, che delle Giornate è l'ispiratore e il nume tutelare. Un pensiero e una pratica politica, quelle di Dolci, che andrebbero recuperate rimodulandole sul mutato contesto economico e culturale, tanto ricco e stimolante è il giacimento di intuizioni della sua pedagogia orizzontale.
Per dieci giorni, discorso naturale e riflessione filosofico letteraria, naturalezza e artificio, poesia e natura sono state le coppie tematiche che hanno contrassegmato il programma della manifestazione, che si è aperta con un concerto degli allievi del Conservatorio (tra un brano e l'altro, le Odi di Neruda lette da Moretto) che suonavano dentro il perimetro del Cerchio maieutico, il simbolo geometrico del confronto paritario e antigerarchico.
Tra i molti appuntamenti voglio ricordarne almento due: il seminario condotto da Valeria Andò su L'ombra e la grazia di Simone Weil, la filosofa e mistica francese che la Andò ha proposto di leggere in sintonia con la filosofia sociale di Dolci, sottolineandone gli aspetti dell'attenzione amorevole e della relazione interpersonale; e le due conferenze di Paolo Emilio Carapezza e Lucio Zinna; storico della musica il primo, poeta e critico il secondo.
Carapezza ha affrontato il concetto di nomos in opposizione alla lex romana e ne ha ripercorso il destino semantico dalla più antica accezione di nutrimento fino al significato di norma prosodica che regola la dizione dei versi e la loro messa in musica. Un breve ma affascinante viaggio alle origini della musica occidentale che agli ascoltatori ha fatto venire voglia di un ulteriore approfondimento, magari nell'aula della facoltà di lettere dove tutti i giorni dispari della settimana il professor Carapezza tiene lezione.
Sul non semplice rapporto tra poesia e naturalezza, Zinna ha svolto un discorso lucido e articolato, con molti esempi e confronti, muovendosi con disinvoltura tra storia delle idee estetiche e filologia dei testi. Dagli antichi ai moderni, ha ricordato Zinna, la natura nei versi è passata dall'idillio alla nostalgia di un bene perduto; dalla esaltazione pantesistica o lirica (Whitman, Luzi), al paesaggio desolato specchio del male di vivere (Eliot, Montale).
Quella che non è mai mancata è la sapienza tecnica necessaria una buona poesia, l'artificio ben calcolato capace di simulare alla perfezione una naturalezza che ha alle spalle un lavoro attento e minuzioso, come dimostra la tormentata genesi dell'Infinito di Leopardi, il quale, detto di passata, con la natura e i suoi supposti inganni ha avuto rapporti decisamente conflittuali.