GIOSTRA SENTIMENTALE A BARCELLONA di Vito Bianco

Sul Woody Allen degli ultimi anni si sono consolidate almeno tre scuole di pensiero. La prima sostiene che non ha più nulla da dire ed è quindi meglio non perdere tempo andando a vedere i suoi film, che sforna con una regolarità annuale chiaramente rivelatrice di furbizia commerciale e nevrotica coazione a ripetere. La seconda è invece animata da quelli che li vanno a vedere per dirne puntualmente male, variando ogni volta un abusato ritornello che nella versione standard suona più o meno così: Woody Allen è un autore finito e questa è l'ultima volta che mi faccio fregare i soldi del biglietto. La terza, detta anche della ragionevolezza, alla quale mi vanto di appartenere, afferma che Allen qualcosa da dire ce l'ha ancora, ed è questo qualcosa che, volta per volta, va giudicato. Francamente, non ci pare di chiedere troppo. L'autore di Manhattan se lo merita.
Fedele alla linea, anche stavolta mi sono presentato all'appuntamento pieno di aspettative e felici ricordi. Confesso di dovere all'umorista americano le mie migliori risate cinematografiche; posso dire, parafrasando Stendhal: il suo umorismo ebraico ha formato il mio carattere. E dunque per nulla al mondo sarei disposto a perdermi un suo film, anche se questo non significa che la mia valutazione critica possa essere condizionata dalla riconoscente memoria del divertimento e dei capitoli più riusciti di una carriera lunga e variegata, che va dalla affettuosa parodia al dramma familiare bergmaniano.
Ma per sua e nostra fortuna Woody Allen non ha bisogno di indulgenze. Tra fisiologiche discontinuità di risultati, il cineasta statunitense continua a mostrare un'invidiabile vitalità creativa. Il cinema è quello che sa fare, e quindi, finchè può, continuerà a farlo. Magari abbandonando New York per cercare ispirazione altrove, come ha fatto con i due film londinesi (due ottimi racconti morali sul tema della giustizia e del desiderio di possesso) e con quest'ultimo girato a Barcellona, col quale torna alla commedia sentimentale ritoccata dalla sua personale maniera, nella quale si mescolano ironia malinconica e gusto per gli intrecci e i movimenti circolari, il divertimento e la voglia ultima di raccontare storie esemplari, che spingano lo spettatore alla riflessione.
Il titolo, Vicky Cristina Barcelona, subito allude a un triangolo amoroso. E in effetti, per buona parte della vicenda i personaggi in scena sono tre: le due ragazze americane in vacanza estiva, e il fascinoso pittore spagnolo che le seduce. E' perciò facile pensare ad un aggiornamento o variazione delle Due inglesi di Truffaut, almeno fino alla comparsa della scatenata ex moglie di Juan Antonio e del fidanzato di Vicky, la più tranquilla e sicura delle due amiche, che però imprevedibilmente si innamora dello spagnolo e medita di lasciare il fidanzato poi marito.
Nel mentre Cristina va a vivere con Juan Antonio, nulla sapendo dell'amica, un menage che presto diventa à trois per l'arrivo improvviso e drammatico di Maria Elena (una scatenata Penelope Cruz; gli altri sono la Johansson e Bardem). La ragazza, che cercava una relazione non convenzionale, trova più di quel che cercava. Nel triangolo gli spiriti selvaggi dei coniugi si placano, ma dopo un po' è lei a non reggere più la convivenza e lascia i due all'insuperabile nè con te nè senza di te.
La giostra erotico-sentimentale si muove con leggerezza per i luoghi più riconoscibili di una Barcellona che poteva essere meglio scrutata, approfittando della mobilità della camera a mano che consente percorsi rapidi e stimola curiosità e desiderio di scombinare la prevedibilità della mappa urbana turistica. L'aspetto più interesssante del film è il confronto tra due paradigmi amorosi, entrambi imperfetti: quello romantico della coppia scoppiata, e l'altro tiepido e domestico di Vicky e Dug, dove i sentimenti hanno una temperatura normale e il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato ogni tanto si insinua quando meno te l'aspetti.
Un film di buona fattura, piacevole ma con un retrogusto amaro, dove nessuno dei personaggi sa quel che vuole (tranne Dug) e se sia possibile ottenerlo. Non lo sanno Maria Elena e Juan Antonio, che continueranno a lasciarsi senza potersi davvero lasciare; non lo sa Cristina, che continuerà a cercare una non meglio identificata relazione non conformista; e non lo sa Vicky, che nell'incertezza e nella mancanza di coraggio finisce col restare nel già noto, con un marito che forse non ama ma che la rassicura.
Tutto finisce com'era cominciato; la giostra è pronta a ripartire. Ormai lo sappiamo che la vita non insegna niente. E' il suo unico insegnamento.
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