OASI, DESTINY E TORTE DI FANGO di Daniele Moretto

Monreale, 21 ottobre 2008. In un angolo tra i più ameni di Monreale esiste un antico convento in cui vivono unicamente quattro suore. (E’ uno dei tanti luoghi religiosi così utilizzati in Italia). Costruzione molto bella, panorama mozzafiato. Passeggio con un’amica e la porto a vedere il panorama. C’è movimento davanti al portone illuminato, una scritta nell’insegna: “Oasi” e qualcos’altro. Ci sono forze dell’ordine, una famiglia con tre bambine, una signora col pettorale della Croce Rossa che tiene in braccio un bambino di colore. Lo mette a terra, ci gioca, lo riprende in braccio, affettuosissima. Ne ripete il nome come a volerlo proteggere - il bambino e il suo stesso nome: Destiny. Il bimbo fa i suoi suoni, batte le mani, balla in tondo come a un ritmo ancestrale. “Destiny, che fai, così ti gira la testa!”. La signora della Croce Rossa lo riprende in braccio, lo avvolge di attenzioni, lo asseconda. Sa che ha la vita nelle mani. Lo accarezzo, me lo affida, è stupita: “Guarda, è il primo uomo da cui si fa prendere in braccio. Lo lasci pure, lo metta a terra”. Destiny riprende a vorticare. Un signore vuole portarlo dalla madre, dentro il convento, ma lei se lo riprende in braccio, dice che la madre lo tiene sempre a letto, che è depressa. La signora fuma, è in apprensione, il suo racconto spiega perché. La verità è che sa di avere la vita tra le mani, e che da lunedì questo bambino forse non lo vedrà più. Una vita che poteva non esserci. Destiny è nigeriano, la madre è giunta con lui attraversando l’Africa. Più che depressa, stremata, penso. Ha strappato il figlio di pochi mesi dalle mani del padre mentre questi aveva cominciato a berne il sangue dalla vena femorale durante un rito “woodoo”, un sacrificio. Ho visto coi miei occhi la cicatrice sulla gamba. Già, ci sono ancora i sacrifici umani. La madre dunque scappa dal villaggio, forse in quel momento mette quel nome al bimbo, decide per il suo destino. Un altro destino. Non tutte hanno la sua forza, il suo coraggio. Attraversa il deserto, in Libia, prima di riuscire ad imbarcarsi, viene violentata. Arriva a Lampedusa, poi a Monreale, in questo convento che è per alcuni il secondo step di accoglienza. Nel convento ci sono circa sessanta persone. Da lunedì non si sa quale sarà il loro destino. Pare che le suore si siano stancate. Forse i soldi che ricevono non sono sufficienti o forse il gioco non vale la candela. Fatto è che la superiora - congolese – non ha (ancora) rinnovato la convenzione con lo Stato per continuare il servizio. E lunedì Destiny potrebbe trovarsi Dio solo sa dove, e forse, con questa umanità, non lo sa nemmeno Lui. Questo è un appello acché si faccia il possibile per dare speranza a Destiny e ai suoi compagni di viaggio.
Torno a casa e in tv scopro che la crisi finanziaria sta stringendo il collo dei poveri. In Africa ci sono villaggi che mangiano il fango. I banchieri americani speculano e sprecano (mi sovviene per l’ennesima volta un titolo di Danilo Dolci, Spreco), il governo Bush, che ha dissestato il pianeta per far vender le armi ai suoi amici e accaparrarsi petrolio a costo di sangue, ora fa piovere miliardi di dollari per salvare il culo (pardon) ufficialmente ai risparmiatori, in realtà per mettere una pezza ai danni causati dalla sua stessa condotta irresponsabile. Miliardi di dollari e milioni di euro per tappare i buchi provocati da chi dovrebbe saper gestire il mondo e che invece dimostra la spaventosa cupidigia di chi ha già tanto e non si contenta (e dopo ‘l pasto ha più fame che pria). Scorrono su Rai 3 immagini vergognose: villaggi africani in cui la gente passa del fango al setaccio e ne fa biscotti. Siamo a questo punto, alle torte di fango! (Altro titolo di Danilo Dolci: Fare presto e bene perché si muore).

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