RIGASSIFICATORE. SIAMO UN SUDDOVEST CHE VUOLE DIVENTARE NORDEST? di Adriana Iacono

Lo sento sfrigolare sotto la pioggia e mi inquieto certa che quel trac trac di cavo e traliccio non prometta niente di buono. L’energia, si sa, è un equilibrio delicato: yin yang, feng shui, gli orientali l’hanno capito da un pezzo. Guardo preoccupata l’enorme totem elettrico che mi sovrasta sperando che il suo campo magnetico non interferisca con il ristoratore massaggio shiatsu che ieri mi ha rimosso il blocco energetico alla milza. Il cortile è deserto ma alla ricreazione, se esce il sole, si riempirà di ragazzi che sommeranno le loro esuberanti energie a quella sfrigolante del traliccio e manderanno qualche pallone calciato con troppa foga letteralmente a farsi friggere sui cavi.

L’interreranno, hanno detto in tv, in cambio di due cupolette e una torre sono disposti a sacrificare il totem enorme – zona Grandi Lavori, mica lavoretti da niente, mica tralicci qualunque - qualche cupoletta e una torre nel porto poco distante che, essendo porto, è zona “a vocazione” industriale. Arriva il prurito. Lo sapevo. Mi gratto collo e braccia fino a farmi delle strisce rosse sanguinolente ma non si placa anzi si estende su tutto il corpo. Com’è che ogni volta mi dimentico? Basta una distrazione e parte la reazione allergica. “Sinergie che vogliono attenzionare lo sviluppo di un’area a vocazione industriale”, hanno detto in televisione con una sintassi azzardata e un’altissima concentrazione di parole insidiose. Roba che rischio uno shock anafilattico. Corro ai ripari. Salgo le scale di corsa e in sala insegnanti scovo il dizionario di sinonimi e contrari. Propensione… predisposizione… tendenza… idoneità… il prurito si placa. Riformulo il concetto: il porto è una zona “a propensione” industriale. Prurito finito. Però, a pensarci bene manca qualcosa. Manca una sfumatura, un afflato mistico e aleatorio. Un’area “a propensionepredisposizione… tendenza… idoneità…” ha a che fare con la realtà tangibile ma un area “a vo… caz… bip” ha a che fare con l’imperscrutabile, con l’arcano. Sarà per questo che il nostro territorio fino ad ora è riuscito a sviluppare solo una vaga inclinazione verso qualcosa di intangibile? Sì, deve essere così. Se invece avesse avuto una “predisposizione”, una “idoneità” industriale quella schiera di carcasse di fabbriche che costeggiano il porto adesso sarebbero produttive. Per non dire che nel cuore della valle dei templi oggi ci sarebbe un bellissimo stabilimento della Fiat e invece, “per colpa di quelle quattro pietre” come diceva il mio vecchio professore di filosofia (che era prete ma aveva ben capito che con la vocazione non si andava molto lontano), non se ne è fatto niente… però magari siamo ancora in tempo per recuperare.
In classe lo dico subito ai miei studenti che aspirano a un diploma di operatore turistico che hanno sbagliato tutto: “il nostro è un territorio ad alta idoneità industriale” - proclamo solenne da dietro la cattedra - “non importa se la natura, la storia, la cultura ci hanno dotato di un paesaggio unico e a tratti ancora incontaminato, di un clima ideale per la maggior parte dell’anno, di un patrimonio monumentale immenso dichiarato bene dell’umanità, di un’altissima concentrazione di parchi letterari, di spiagge grandi e mare caldo, cibo delizioso, vini gustosi, artigianato di pregio, tradizioni ancora vive, ospitalità. Tutte queste cose attengono alla vo… caz… insomma all’idoneità turistica, allo sviluppo sostenibile, al mondo aleatorio della bellezza, dell’armonia e dell’identità. Noi siamo gente pratica. Noi vogliamo lo sviluppo industriale e lo vogliamo sporco maledetto e subito” – incalzo – “perché noi siamo un suddovest che vuole diventare nordest” – concludo infervorata.
Il mio tono acuto ha fatto breccia nei loro cuori, infatti tutti quanti istantaneamente sollevano lo sguardo dai telefonini, tolgono gli auricolari dell’ipod e mi scrutano con occhi indagatori. Quando, alla fine, propongo di fare un rito propiziatorio intorno al totem elettrico e saltare l’ora di matematica è un trionfo di applausi e fischi di entusiasmo.
Fuori ha smesso di piovere tutti si sguinzagliano allegri intorno al totem. Sembra che la lezione l’abbiano capita, penso soddisfatta mentre li vedo ballare contenti. Ho sentito dire che ci saranno evidenti ricadute positive sul territorio: almeno una decina impiegati come personale amministrativo delle cupolette (più, ipotizziamo, un’impresa delle pulizie e qualche metronotte), un nuovo molo nel caso qualche sporadica nave da crociera riuscisse a farsi strada nel traffico intenso del nuovo porto, tanta candeggina nel mare che disinfetta l’acqua e fa sempre bene ma soprattutto, poiché l’idoneità industriale affosserà quella turistica, è prevista anche la scomparsa dell’annoso problema del traffico al posto di ristoro.
Il totem ha smesso di sfrigolare e adesso non mi fa più paura, anzi ho deciso che mi opporrò alla sua demolizione perché ho capito che la sua energia non è in contrasto con la mia né con quella del territorio. Sono lo yin e lo yang i poli opposti che si incontrano, le geometrie di un feng shui ben realizzato. Lo saluto rispettosa con una mano, con l’altra mi tengo un fianco all’altezza della milza dove fitte fastidiose mi annunciano il risveglio di un certo dolorino. Mi sa che domani mi faccio un altro massaggio shiatsu.