DOVE ABITA LA FELICITA' di Luigi Galluzzo

Dove abita la felicità? Nelle metropoli intasate di traffico e di smog, ma piene di teatri e cinema, biblioteche e librerie, eventi culturali e mondani, discoteche, concerti, happening settimanali?
Oppure abita nelle quiete cittadine di provincia del centro nord? La dove gli asili nido sono a portata di mamma, si va al lavoro in bicicletta, si gioca a scopone nei circoli rionali respirando quella certa aria da slow food che tanto piace agli americani?
Pare che no, pare che la felicità abiti in quel di Agrigento, nel provincia più desolata d’Italia. I compilatori delle pagelle sulla qualità del vivere del Sole 24ore l’anno relegata, quella provincia, all’ultimissimo posto della loro graduatoria, ma ecco che quelli, gli agrigentini ultimi in qualità, ti tirano fuori l’argomento che non t’aspetti: sono i primi, primissimi, in quanto a soddisfazione di se.
Vivranno anche in una provincia degradata e ultimale, ma loro, gli agrigentini, si sentono pienamente appagati e consolati dalla vita che fanno. A tentar di spiegare questa interessante anomalia ci si è acutamente provato Giovanni di Girgenti su L’Isola che c’è, supplemento del sabato de Il Riformista.
Ci proviamo anche noi, poiché il dato è di quelli che danno da pensare. E innanzitutto ci chiediamo: ma in che cosa consiste veramente la felicità? Nel numero di teatri da frequentare? Nei film in anteprima che ci è dato poter vedere? Nel reddito pro capite, nella qualità dei mezzi di trasporto, nell’aria? In tutto questo messo insieme, certo. Ma forse a renderci veramente felici contribuisce spesso un elemento di impalpabile sostanza: la possibilità di perder tempo.
In un’epoca dominata dalla tecnica e dalla produttività esasperate, isola nell’isola, Agrigento si presenta come il luogo d’elezione di un altro modello sociale: quello basato sul pubblico impiego, sul guadagno minimo garantito, sulle prospettive limitate, sugli orizzonti conclusi.
Economia povera, senza slanci e surplus, garantisce a questo esercito di impiegati statali un eccesso di tempo libero a disposizione. Gli stipendi che nel resto d’Italia sono considerati da fame, qui valgono doppio. I prezzi sono mediamente più bassi che nel resto dello stivale, le tentazioni e le offerte di svaghi minori, si spende poco, si vola basso.
Gratuitamente si dispone di alcuni beni essenziali: il sole ed il mare, a libera disposizione da aprile a novembre, con quel corollario di bei tramonti, riusciti panorami sul profilo greco templico adagiato che rendono dolce l’indugiare.
Una sorta di società antiutilitarista che vive di rendita, bassissima in produttività, consuma le sostanze naturali gentilmente offerte da madre natura incurante di ciò che verrà. Modello di organizzazione sociale destinato a scomparire, nel suo eccesso di pubblici dipendenti superfui ed inessenziali, gode ora per come può di ciò che ha.
Ai figli, ed ancor più ai nipoti, poco rimarrà da poter spendere, perché ancor meno avranno da guadagnare. Ma prima del diluvio si vive una gran bella disponibilità: soldi bastevoli per godersi l’aria buona, lo spazio, la campagna, il mare. Una società a basso ma piacevolissimo consumo.
Un mondo che, felicemente, scompare

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