DOPO LA ROTTURA CHE VUOLE FINI? di Giovanni di Girgenti

Consumato il distacco da Berlusconi, che maturava da un anno, adesso Fini non può stare fermo aspettando chissà cosa. E’ molto difficile per lui conciliare la radicalità delle sue critiche a Berlusconi sul tema della legalità, della democrazia interna al partito e sugli equilibri istituzionali  con la dichiarata permanenza nella maggioranza di governo.
Non si può dare un pugno temendo di far male: si rischia di lasciare intatte le forze avversarie, di incattivirle senza creare i presupposti di una adeguata difesa e di una controffensiva.
Il pestaggio mediatico cui è sottoposto Fini ne è un segno eloquente.
Al punto in cui si sono spinte le cose la distanza di Fini da Berlusconi non può che essere distanza dal suo governo.
E un tale passaggio non apparirebbe un tradimento del voto solo se Fini avesse la forza di denunciare il continuo travisamento di Berlusconi del mandato elettorale sull’altare dei suoi interessi personali e aziendali.
Senza questo passaggio, senza questo rovesciamento di responsabilità su Berlusconi, non vedo come Fini possa continuare a pensare di reggere la sproporzione tra lo sconquasso politico che ha creato con le sue posizioni e il suo permanere nel recinto della maggioranza.
Legalità, equilibri istituzionali, unità della patria sono ragioni sufficienti per giustificare la rottura del patto elettorale e per invocare una nuova stagione politica.
Le forze di opposizione invece di stare a guardare dovrebbero chiedere a Fini questo ulteriore passaggio, offrendo una base politica che non può che essere di tipo costituente:  chiamare cioè tutte le forze politiche ad un nuovo patto nazionale che riscriva alcune regole per dare alle istituzioni capacità di governo e ai cittadini nuove garanzie di libertà.

 

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