TUTELARE E FARE di Paolo Minacori

Il mio personale pensiero è che un centro storico si ricostruisce sul solco della sua reale identità storica.
Le stratificazioni avvenute rappresentano l’evoluzione del contesto sociale, antropologico e urbano.
Chi stabilisce cosa è storico e cosa non lo è? Le costruzioni più recenti, quelle del novecento, poi “abbellite” da allumino anodizzato e tapparelle di plastica verde o finto-legno, sono modernariato? Dove vi sono dei “vuoti” nel tessuto urbano, è lecito chiedersi cosa c’era prima e mantenerne l’identità, anche ricostruendola, o vanno colmati con verde pubblico, istallazioni d’arte moderna o chioschi per il cibo da strada?
Il nostro centro storico si è formato in centinaia di anni, dacché storico, è stato una successione e coesistenza di funzioni ospitate ognuna in una costruzione. Esso risulta frutto di continue sovrapposizioni, trasformazioni, di tutta una storia che si fa, si concretizza, si manifesta.
Ogni angolo, ogni fabbricato, ogni strada hanno assunto qualità espressive dipendenti dalle funzioni che dovevano esplicare, si sono caratterizzate funzionalmente ed esteticamente in merito al messaggio che intendevano esprimere.
Come possiamo comprendere la sua storia se ci ostiniamo a leggerla attraverso la chiave della modernità e delle esigenze odierne?
Lo spazio urbano si è conformato attraverso un linguaggio di funzione e di comunicazione. Si tratta di una costante storica che oggi ha una precipua funzione commemorativa e didattica: comunica la storia della città.
Il centro fu costruito secondo le necessità del tempo non certo per le nostre, non fu costruito per auto-preservarsi, non per trasmettere ai posteri la funzione, ma i valori di cui quelle architetture dovevano essere rappresentativi.
La nostra esigenza culturale impone la conservazione del nostro centro storico, associando alle antiche architetture un valore ed un significato differente da quello originario, sicché essendo una città costruita non da pietre ma da uomini, spetta a questi ultimi preservarla e attribuire valore estetico e storico.
Sul progetto Terravecchia se vengono sollevate delle perplessità, penso che per prima la società aggiudicatrice abbia interesse a diradare ogni ombra, ogni imprenditore tiene alla ricaduta della propria immagine sul territorio. Non credo che si sottrarrebbe ad un pubblico confronto.
Ricordiamo però che è stato pubblicato un bando, è stata aggiudicata una gara d’appalto e su tutto ha vigilato la funzione gestionale del Comune (ingegnere capo e RUP), leges artis.
Tuttavia, qualsiasi amministrazione non deve innamorarsi delle proprie scelte se si rende conto che confliggono non solo con elementi tecnici, estetici o urbanistici, ma soprattutto storici e culturali.
Nel rispetto assoluto della Legge e del diritto positivo, in assoluta concordia, non vi sono ostacoli insormontabili se si prende coscienza, con umiltà, di un conflitto tra la storia, il buon senso e il legittimo interesse delle parti.
Ricostruire e restaurare, allora, certamente, per riantropizzare sulla base di un’identità storica, a mio dimesso avviso, non negoziabile.
Però, fare.
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