CENTRO STORICO DI AGRIGENTO, RINASCITA E RUDERI di Tano Siracusa

Qualche anno fa Rudere, un gruppo di architetti e artisti, ha realizzato due interventi di rivisitazione su due edifici nel nostro centro storico. Una abitazione privata e un cinema, entrambi chiusi e abbandonati da anni.

Per due sere quei luoghi hanno offerto suggestioni spaesanti, misteriose epifanie di mondi scomparsi, legate ad un illusionistico rifluire e sovrapporsi del tempo, dei tempi vissuti, non meno che degli spazi. Come nei sogni, o in certe fiabe dove si arriva in un posto e per una notte si viene trasportati indietro nel tempo, nello stesso luogo ma mille anni prima.
Era inverno, durante le feste natalizie, faceva freddo, e quella sera era pieno di gente: nella biglietteria, davanti la sala dove venivano proiettate vecchie pellicole e che si poteva scrutare soltanto da fuori attraverso una porta socchiusa, nel magazzino dove erano affissi i manifesti dei vecchi film e brillava come il fantastico relitto di un naufragio un’insegna al neon. Molti studenti universitari, alcuni residenti nel quartiere, la maggior parte dei quali avevano solo sentito parlare del cinema Odeon. Non c’erano turisti ma Silvie, un’artista parigina che vive da molti anni in Sicilia, diceva di non avere mai visto nulla di così magico nella sua città.
Quelle fugaci, allucinatorie resurrezioni sono avvenute in un centro storico che dopo la frana del ’66 si è andato progressivamente svuotando di abitanti e di memoria, mentre la città si estendeva in confuse e lontane periferie.
Gli agrigentini lasciavano Rabato, san Michele, piano Barone e un decennio più tardi arrivavano i primi immigrati, che hanno impedito un ulteriore e più diffuso degrado del patrimonio abitativo e della tessitura urbanistica.
Oggi quello che impressiona andando in giro per le strade vicino via Atenea, soprattutto la sera, è il buio, il silenzio, le strade vuote.
Quell’atmosfera di città in parte disabitata, scivolata accanto alle case crollate, attraversata da qualche Madonna, da ombre frettolose, dai gatti. E sporca. Ci si può sentire oppressi o grati per questa assoluta mancanza di lustro, di fiocchi e belletti, negozi, luci aggressive, musica ad alto volume, questo mescolarsi e sovrapporsi di tempi e mondi diversi, di tufo e cemento, di antichi balconi in pietra, giardini nascosti, pretenziosi palazzi signorili e casupole che si sfarinano, di africani e siciliani, tolli di dieci piani e macerie di crolli mai rimosse, di cortili e slarghi, scale dove vivevano uomini e bestie e dove oggi a fatica, goffe, impacciate, circolano le auto.
Che i ruderi, le macerie, i poveri resti dei ‘vinti’ fra i quali abitiamo il nostro presente abbiano perturbanti suggestioni da offrirci, al di qua dei restauri e recuperi - pure opportuni e da venire - ma attraversando la soglia dell’arte, delle sue cornici: è stata questa allora la felice intuizione di Rudere.
Alcuni anni prima si era fatto qualcosa di simile a Santa Croce, dove per una sera luci, musica, letture, avevano fatto rivivere quella magnifica piazza disabitata, facendola scoprire a qualche centinaio di agrigentini.
C’è da chiedersi se non sia questo un percorso da riprendere per non smarrire del tutto il senso della storia in cui siamo comunque immersi e in attesa di tempi migliori. Intervenire nei luoghi trasformati dal tempo e dall’abbandono e per una sera offrirne una trasfigurata restituzione a tre generazioni di abitanti che vi si smarriscono e ritrovano.
Si dice che il nostro centro sia diventato periferia, anche se la diffusione dei b&b, la presenza dei turisti (che si smarriscono nella nostra medina alla ricerca della Cattedrale o di Santa Maria dei Greci in assenza di segnaletica), il ritorno residenziale anche se sparso di ceto borghese che acquista e ristruttura vecchie abitazioni sembrano segnali in controtendenza.
Se le utopie sono necessarie le illusioni vanno evitate. Nei tempi brevi non appaiano segnali di una svolta, di una rinascita del nostro centro storico.
Il progetto Ravanusella, l’università in centro, la riapertura di Palazzo Tomasi, il piano della mobilità sono tutte voci di un’agenda amministrativa che si spera venga almeno in parte realizzata ma di cui si hanno scarse notizie e sono visibili poche tracce.
Il resto, cioè quasi tutto, dovrebbero farlo gli abitanti, quelli che vivono i quartieri. Cominciando dalla pulizia, dal decoro dei luoghi pubblici, comuni, come peraltro avviene in alcune scalinate e molti cortili. Ma anche invitando gli artisti, aprendo spazi, restituendo i luoghi dell’abbandono al presente attraverso una loro ragionata e visionaria trasfigurazione. Sia pure soltanto per poche ore, come sempre avviene dentro le illusorie cornici del gioco artistico. E questo si potrebbe tentare ovunque, nel centro diventato periferia e nelle periferie che non diventeranno mai centro, rischiando di diventare l’intorno informe dei centri commerciali. A Santa Croce come a Villaseta o Fontanelle.
Utopie? Si, ma non illusorie perché si è fatto, altre volte è successo. Anche a Vallicaldi. Le rare volte che gli artisti hanno scelto il territorio come oggetto e laboratorio, per riscoprirlo e reinventarlo, è successo. Come quelle sere in casa Vadalà e al cinema Odeon.

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