TASSA DI SOGGIORNO? INVESTIRE IN COMUNICAZIONE di Vincenzo Campo

A poco meno di due mesi dall’introduzione ad Agrigento della tassa di soggiorno, si apre il dibattito sull’utilizzo dei relativi proventi e si fanno più forti i dubbi che già s’avanzavano ancora prima dell’introduzione stessa sul possibile sviamento dal fine dichiarato, che è l’utilizzo a fini turistici.

La mia idea di base sulla questione dell’utilizzo di tali nuove entrate, muove dal presupposto per il quale Agrigento non è una città a vocazione turistica, come recita un fastidioso refrain che tutti ripetiamo senza coglierne il senso, ma, in realtà è già una città turistica; turistica punto e basta, e forse con una scarsa vocazione turistica, se la vocazione è quella sorta di forte chiamata che viene da Sfere alte e importanti.

Una città a vocazione turistica è una città che turistica non è –o che non lo è ancora-, cioè che non è visitata, ma che sente il desiderio forte di diventarlo; una città che sa di avere un patrimonio artistico o culturale o storico o di divertimento o di tutte queste cose insieme, che sa di possedere attrattive che possono interessare persone che vivono altrove, ma che, invece, non è visitata.

Dal mio punto di vista, Burgio o Naro o anche Palma di Montechiaro, per fare solo degli esempi, sono città che possono diventare turistiche, ma che non lo sono o lo sono solo in minima parte; città che possono acquisire una vocazione turistica se “colpite” una chiamata analoga a quella che fece diventare Paolo di Tarso da persecutore di cristiani ad apostolo e Santo o anche Martin Lutero, da aspirante leguleio a Monaco agostiniano prima e fondatore di una chiesa dopo,.

Se questo è vero, se è vero che Agrigento è già una città turistica, se è vero che è già meta di un numero rilevante di persone che vi viene e la visita o ne visita sue parti, qualunque utilizzo dei proventi della tassa di soggiorno sarà di tipo “turistico”; pur a sforzarsi non viene in mente nulla che possa rappresentare un uso non turistico di questo denaro.

Togliere le erbacce dai cigli di qualunque sua strada, centrale e non, sgomberare i cumuli di spazzatura, rimuovere le cisterne d’eternit e in particolare quella posta all’ingresso dell’Ipogeo Giacatello, sulla quale in maniera casuale e tuttavia artistica s’adagia un delicato paio di scarpe rosa da donna (opera post-moderna da attribuire, forse, a Igor Mondezzaj), illuminare la via Petrarca, creare sistemi di drenaggio delle acque nella via dei Fiumi (nomina sunt cosequentia rerum?), impedire il parcheggio in dodicesima fila con le prime dieci libere, costruire, ove possibile, delle rotatorie, adornare la città, dotarla di un sistema efficiente di mezzi pubblici… tutto è turistico e tutto serve a dare all’ospite che, malgrado tutto questo, già viene e ci visita. Perché Agrigento è turistica, malgrado la mancata vocazione, forse; laicamente tursistica.

Queste cose pur minime e minimali, sono così tante che non si sa quante tasse di soggiorno servirebbero e serviranno per realizzarle.

E tuttavia, io credo, la priorità devono averla due cose-se è possibile, e questo, se è possibile, non lo so: innanzi tutto una prima risistemazione che dia un minimo di decoro al Centro storico, a Girgenti, se vogliamo chiamarlo così, e che ci consenta di presentarlo senza doverci vergognare troppo; in secondo luogo l’impiego di risorse nella comunicazione, nel far conoscere e nel far sapere al mondo che Agrigento non è solo Akragas, non è solo Agrigentum, ma che è anche Kerkent e Girgenti; che lo splendore dorico di Akragas si coniuga con gli archi e i cortili del Rabato di Kerkent, con i ceselli chiaramontani di Santo Spirito e del Conventino, con gli stucchi serpottiani e col barocco stupefacente della Chiesa di Santo Spirito, con la sapienza e la scienza conservate in quel meraviglioso scrigno che è la Lucchesiana… con tutto quanto è tenuto nascosto alla vista dagli orribili tolli che sfidano il Padreterno, proprio là, in alto, dov’Egli si dice stia; che costituiscono una paratia che, impenetrabile alla vista di chi guarda verso la città, e che devono essere abbattuti, quanto meno logicamente se non fisicamente.

Nessuno, fuori da qui, sa di questo inestimabile patrimonio e neanche noi agrigentini forse lo riconosciamo come vero e proprio patrimonio.

Il primo problema da affrontare e superare se vogliamo che la gente venga e soggiorni qui, senza limitarsi a visitare i templi e la Valle, è quello della ignoranza, nel senso suo proprio di mancata conoscenza.

Io so, per esperienza personale, che certo non ha dalla sua i numeri che servono per fare le statistiche, ma che ha il suo valore, io so, dicevo, che quando cominciai ad avere a che fare coi turisti, coi visitatori della nostra Città, nessun conosceva la Scala dei Turchi; ero io a doverla indicare come posto di mare bello, anzi, bellissimo.

Oggi il turista viene in città che ha già visitato la Scala dei Turchi, o, se non l’ha ancora fatto chiede informazioni per raggiungerla; perché? Perché questo cambiamento?

È facile: prima non sapevano e ora sanno.

Televisioni e giornali, programmi di viaggi e di turismo hanno parlato di questa meravigliosa falesia di marna gessosa che s’aggetta a mare a forma di scalinata, ne hanno diffuso immagini e fotografie, il nome suggestivo ha evocato fantasie di leggende e di turchi che, dal mare guadagnano la terra ferma da quella scala naturale formata dal vento di ponente che vi batte di continuo.

Potenza della comunicazione.

E se si facesse in modo che la gente sapesse che c’è e che cos’è la Biblioteca lucchesiana, bellissimo scrigno-bomboniera che è simbolo della condivisione della scienza e del sapere in un mondo in cui scienza e sapere erano appannaggio di pochi, ed anzi di pochissimi? E se sapessero della cattedrale dedicata al Santo della ri-cristianizzazione venuto da Besançon coi liberatori normanni e della splendida sovrapposizione di stili? E se sapessero dei lievi merletti che i Chiaramonte hanno disegnato sulle austere linee del convento di Santo Spirito e del Conventino di San Francesco? e se sapessero del Festival internazionale del Folklore? E se sapessero delle due processioni di San Calogero, che comunque si vogliano qualificare, sono eventi inimmaginabili in luoghi che sono già prima delle Alpi? E potrei continuare ancora per pagine e pagine…

 

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