OLTRE LE CORNICI, OLTRE QUESTO TEMPO di Pietro Baiamonte

Le foto di Tano non stanno mai ferme. Recalcitrano, tendono spasmodicamente oltre lo steccato delle cornici, ostinate conducono altrove. Ho avuto modo di vedere i provini delle ultime in mostra, dentro lo studio di Davide, cornice perfetta alle parole che narrano la realtà stemperando la loro durezza nell’azzurro soffuso e nella levità della luce che penetra dai vetri opachi. Qui la realtà roboante è bandita. Viene allo studio, Tano, con i provini degli scatti: scarti dalla realtà risaputa, fermati durante la nebbia che ha nascosto Agrigento ed i suoi abitanti. Sono a colori: su tutti il verde marcio della nebbia; poi il nero di un abito, il giallo di un palo e di un bus, il rosso dei fanalini e dei semafori, di un ombrello; tutti oggetti che, in un modo o nell’altro, hanno abdicato alla loro forma, che si esprime nell’uso a cui sono creati, e liberi pure di rinunciare al nome, si mutano in segni di un linguaggio onirico e, in un certo modo, divinatorio: contengono un monito, testimoniano una lacerazione tra ciò che riteniamo di conoscere e ciò che invece è dovuto sapere. La nebbia, in quegli scatti, rivela, piuttosto che nascondere: un destino, perseguito con tenacia, che ci rende assenze, l’inganno infinito che ingabbia noi in una rete di relazioni abusate, irreali per volontà nostra, con gli altri, con le cose e con i luoghi dentro i quali recitiamo il breve corso della nostra esistenza. Tutta questa verità rimane nascosta alla luce brillante cui siamo abituati. Le foto di Tano non hanno bisogno di urlare, ma dicono in un soffio, che rassomiglia agli ectoplasmi che le animano, parole che svelano l’essenza di ciò che ritraggono con onestà disumana, con feroce umiltà: quei fantasmi nella nebbia siamo noi nel nostro nudo essere, simulacri per nostra sola volontà, incapaci di squarciare altra nebbia che, anche al sole, ci tiene isolati e celati. Non saprei dire se l’arte di Tano tenda a questa scabra chiarezza, se sia un sottrarre velature giocando a paradossi con la nebbia. Non so se la mente di Tano, in moto perpetuo come i suoi scatti, riconosca, nel centrare la realtà che si svela nell’asse perfettamente mirato del suo sguardo, del suo cuore e dell’obiettivo della sua macchina, la verità nuda. So che Tano non manca di tanto coraggio intellettuale; so che quelle foto continuano a condurmi altrove, oltre lo spazio della loro cornice, oltre il tempo in cui le ho viste.

 
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