I COLORI DEL RITORNO: BREVI RIFLESSIONI SULLA PITTURA DI AMELIA RUSSELLO di Emanuele Enrico Mariani

Nella propria manifestazione artistica Amelia Russello ci dona traccia del chiaro-scuro geografico e intimo del suo migrare, del suo allontanarsi dalla terra che le appartiene. Ciò avviene come all’interno di un sogno-desiderio che narra della sua appartenenza generazionale e soprattutto del cuore al Sud, alle sue luci ed ai suoi paesaggi.

L’elemento autobiografico, come in un diario, spicca nella sua componente principale, poiché questo, come precisa Duccio Demetrio, «non è soltanto un tornare a vivere» nella resa letteraria, o nel caso specifico pittorica, che se ne compie ma, nel far confluire ciò che è stato nella disamina presente, come in una vita nuova, raccontarsi «è un tornare a crescere per se stessi e gli altri».

Nella più recente produzione di Amelia Russello non prevale il tratto oscuro e statico della produzione classicheggiante, la sola che la Germania, dove da giovane è costretta ad emigrare con la famiglia, è in grado di suggerirle con i suoi toni atmosferici, umorali e culturali. Il sole della Sicilia nel ritorno agognato e poi realizzato, diventa così “giallo prepotente” che sconfina  nell’arancione. Caratteristica che parla della condizione emotiva, ma anche esistenziale, determinata dalla mancanza e dal desiderio. La terra delle origini viene adesso denotata mediante un di più di forza “caricata” e calibrata sulle tinte decise che, grazie alla presenza di ombre fitte e dense, ne scandiscono costantemente l’ambivalenza del significato reale e ancestrale.

La realtà del colore, degli oggetti, cui l’autrice ad ogni modo si ispira, si confonde con la verità della vita dettata dalle condizioni materiali e dei bisogni. Il femminile spicca nelle sue immagini più tradizionali ancora legate alla terra e a movimenti, gesti e operazioni che solo la memoria più autentica può salvaguardare e la cultura più vera saper trasmettere. Come scriveva Friedrich Schiller l’uomo è costantemente esposto ad una «tensione»: sia che questi si trovi sotto il regno estetico delle sensazioni, sia che venga dominato unicamente dall’elemento speculativo-razionale dei concetti, mentre la vera libertà atta a superare qualunque «stato di costrizione» unilaterale si può esprimere solo nell’«azione comune» delle sue due nature, sensibile e razionale, mediante l’azione della «bellezza dolce». Quest’ultima pare l’elemento che caratterizza la pittura dell’autrice: gesto creativo che evoca e si richiama alla bellezza come sintesi di forma e materia, mondanità del concreto e idealità più forte. Un equilibrio cercato e voluto grazie alla mirabile tecnica ed alla capacità di evocare immaginari che oltrepassano, o riassumono in sé, i singoli e più svariati elementi tradizionali e culturali. Per Schiller il compito della «bellezza dolce» è proprio quello di coniugare ed equilibrare nell’uomo la tensione unilaterale alla materia o alla forma, alle leggi o ai sentimenti, mediante una sua duplice azione caratteristica: «In primo luogo, come forma tranquilla, mitigherà la vita selvaggia e aprirà il passaggio delle sensazioni ai pensieri; in secondo luogo in quanto immagine vivente, munirà di forza sensibile la forza astratta, ricondurrà il concetto all’intuizione e la legge al sentimento. Il primo servizio è reso all’uomo naturale, il secondo all’uomo acculturato».

Nelle immagini della Russello traspare già il vissuto culturale, mentre nel risaltare dei tratti decisi dai colori vividi si fa strada nell’anima un fervido calore come quello del sole che illumina e scalda, bruciando, tanto la pelle delle figure in primo piano quanto i campi riarsi. Gli sfondi riposano anche sui terreni spinosi del brullo e arido ambiente del meridione: esatta misura di come la nostalgia del sole ritrovato, non si traduca, tosto ed inevitabilmente, in idealizzazione assoluta dell’appartenenza alle terre del Sud. Quella stessa melanconia pronta a erompere in tratti di luce lampeggiante, su volti tondi atti a ridonarne gli effetti salutari e cocenti, per converso si coniuga con una consapevolezza della stessa sterilità relativa delle origini, della “povertà” del suo popolo adesso riflessa nelle caratteristiche rappresentative. L’utopia in quanto attesa del luogo agognato e abbandonato è, come diceva Foucault, luogo senza luogo che è possibile individuare solo «nei sogni» e «nel vuoto dei cuori» di uomini e donne, e sebbene paia qui portare il segno anche della consapevolezza del suo negativo, ritorna nel concreto, senza ridondanze, alla ricchezza spirituale della luce e del mare che accompagna il bimbo nei suoi giochi coi sassi. L’elemento marino, come ricorda Cécile Guérard in conclusione della sua Piccola filosofia del mare, stimola da sempre la riflessione filosofica e chiama l’umano all’esigenza di stabilire un “duetto” e non una “dualità” con la sua forza capace di regolare i pensieri e indirizzarli verso l’infinito. Questo è principalmente immagine visibile e imprevedibile della ripercussione misteriosa che unisce gli uni gli altri gli elementi della «natura intera». Mutevole e mai identico accoglie da sempre il gioco dei bimbi descritto dall’artista. Giocare, come ricordava Eugen Fink, descrive un movimento, è la partecipazione ad una «azione spontanea», esatto opposto delle seriose prassi dell’ordinario dalle quali la realtà del gioco radicalmente si distanzia. Queste individuano senso e scopo «in un prodotto esterno», mentre la motilità – migrazione - implicata dal gioco, ha finalmente “perso” anche questa unidirezionalità. Nell’«esistenza che si muove da sé» del giocare si trova al contrario, e in modo fondamentale, il «rimando allo “scopo finale” dell’uomo [e della donna], alla felicità cioè all’eudaimonia». L’atto della creazione pittorica acquisisce difatti un ruolo che oltrepassa in modo netto la mera rappresentazione esteriore e figurativa di cose, persone e paesaggi secondo tecniche più o meno differenziate e precise. In questo caso lo sfondo emotivo del fruitore rimarrebbe muto anche nel forte accentuarsi del verde dei prati mediante il quale si vuole donare spazio ulteriore alla speranza di chi attende, tanto quanto alla gioia del proprio sogno ritrovato.

La realtà circostante, all’interno di un processo osmotico complessivo, è elemento che si fonde costantemente, in modo obliquo e trasversale, con gli occhi dell’esecutore e con l’intimo di chi ammira e desidera anch’egli, adesso, quel calore e quel placarsi della tensione. Quanto sostenuto da Deleuze riguardo all’immagine cinematografica, pare poter valere anche nel caso dei motivi pittorici-esperienziali che forniscono forma e specificità ai lavori dell’artista. L’immagine, nella sua dimensione creativa, non è in tutto e per tutto declinata e collocabile nell’ambito del presente temporale, ma custodisce il segreto delle scansioni emotive e razionali del “prima” vissuto e del “dopo” atteso: «Ciò che è al presente è quello che l’immagine “rappresenta”, ma non l’immagine stessa. L’immagine è un insieme di rapporti di tempo, da cui scaturisce il presente come comune multiplo o come minimo divisore. I rapporti di tempo non sono mai visibili nella percezione ordinaria, ma lo sono nell’immagine, non appena essa diventa creatrice» poiché essa «rende visibili, i rapporti di tempo irriducibili al presente».  

Ciò traspare in modo evidente nelle figure femminili proposte, donne o bambine, nei loro tratti, nei loro occhi e nelle loro pose. Nel caso dell’elemento femminile Amelia Russello non tende mai a riconsegnarne l’elaborazione del suo stereotipo o della sua vita pienamente attuale. Lavoratrice, madre, bambina, amante/amata che sia, le sue posture, espressioni del viso e i lunghi capelli spesso avvolti in colorati foulard, dicono di una dimensione bucolica che è anche narrazione dell’amore vissuto e di una bellezza ormai dimenticata e trascorsa, specchio, forse, del ricordo tramandato.

Gli sguardi si volgono e rivolgono come all’interno di un set fotografico nel quale l’amato più volte immortala il viso di lei chino sui fiori, laddove l’elemento olfattivo del profumo può essere associato agli effetti cangianti e delicati di una tensione che si rivela, non da ultimo, nel suo carattere romantico, erotico e passionale.

 

Amelia Russello: Nota Biografica

Amelia Russello nasce in una piccola cittadina tedesca nel 1972, da padre siciliano e madre calabrese.

Il suo percorso artistico è scandito dalla partecipazione a numerose collettive e manifestazioni culturali ed arricchito dall’assegnazione di numerosi premi e riconoscimenti.

Nel 1991, dopo la maturità, frequenta l’Accademia di Belle Arti “Michelangelo” di Agrigento laureandosi con il massimo dei voti. Studia i grandi maestri del passato come Murillo, Velasquez e Rembrandt.

Questo stile accompagna tutto il periodo in cui l’artista è costretta ad emigrare con la famiglia in Germania per mancanza di lavoro.  Da quanto ha fatto ritorno in Sicilia inizia a frequentare l'”Accademia Arte, Cultura e Legalità” di Favara, diretta dal Maestro Vincenzo Patti, e ben presto entra a far parte del gruppo dei pittori che collaborano nella docenza. Nel 2012 diventa socia fondatrice dell’Associazione “Culturart” di Agrigento che si occupa dell’organizzazione di manifestazioni ed eventi artistico-culturali volti alla rivalutazione ed al recupero del centro storico di Agrigento. Contemporaneamente gestisce a Favara un atelier dove lavora come decoratrice, ma soprattutto come pittrice. Le sue opere sono custodite in collezioni pubbliche, private e gallerie d’arte, molte sono state pubblicate su autorevoli annuari.

(ameliarussello@hotmail.it)

 

Note

1. D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 17.
2. J. C. F. Schiller, L’educazione estetica dell’uomo, a c. di G. Boffi, Bompiani, Milano 2011, [Lettera XVII], pp. 153.
3. Ibidem
4. Ivi, p. 151-153.
5. Ivi, p. 153.
6. M. Foucault, Utopie – Eterotopie, a c. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2011, p. 11.
7. C. Guérard, Piccola filosofia del mare. Da Talete a Nietzsche, Ugo Guanda Editore, Parma 2010, pp. 114-115.
8. Ivi, p. 115.
9. E. Fink, Oasi del gioco, a c. di A. Calligaris, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, p. 15.
10. Ibidem.
11. Ibidem.
12. Ibidem.
13. G. Deleuze, Cos’è l’atto di creazione?, a c. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2010, p. 36

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