COLONNE INFAMI DIGITALI. LO STRANO CASO DEL NOSTRO AMICO VITTORIO ALESSANDRO di Giandomenico Vivacqua

Recentemente è finito al centro di una polemica, ridicola e feroce, per un commento pubblicato su Facebook e successivamente da Facebook rimosso per inadeguatezza del contenuto.
Non se l'aspettava, Vittorio Alessandro, il contrammiraglio in pensione (tecnicamente, nella riserva) del corpo delle Capitanerie di Porto, attualmente al vertice del parco naturale delle Cinque Terre.
Non se l'aspettava il mio amico Vittorio, spirito caustico, uomo brillante, una vita dalla parte giusta, tutore del bene pubblico e difensore degli ultimi, ispirato dallo spirito delle leggi e del tutto privo di quel feticismo per la lettera delle leggi che, in molti casi, è l'abito mentale dell'uomo burocratico.
Non è un uomo burocratico, Vittorio. A partire dal suo stile espressivo, così lontano dal linguaggio d'ordinanza e dalle cautele protocollari degli alti comandi e degli apparati ministeriali, di cui pure ha fatto parte.

Vittorio scrive, e sa scrivere, in italiano. E con l'italiano sa fare cose notevoli, persino nello spazio angusto di un commento, di un post, come ora si dice. Ed è cosciente dei suoi mezzi, Vittorio. Sa di possedere il dono della parola; sa che la parola è un potere e che il potere implica una commisurata responsabilità. Non a caso sui social è molto seguito, molto ammirato. Solitamente i suoi commenti aggregano la meglio gioventù, sollecitano franche discussioni, confermano e rinsaldano i sentimenti di stima e persino di devozione che legano molti e molte alla sua figura autorevole. Forse perché le parole scritte da Vittorio possiedono lo stesso timbro delle parole dette da Vittorio, quel tono caldo e ironico che è del grande seduttore, del giocatore consapevole che agisce come uomo di pensiero e pensa come uomo d'azione.
Ma qualcosa, decisamente, non ha funzionato qualche giorno fa, quando ha osato di usare un'immagine molto forte, quella dell'ingresso di Auschwitz, è un tema molto sensibile, quello dell'Olocausto, per suffragare, con un accostamento certamente iperbolico, il suo punto di vista sui limiti di praticabilità, oggi ampiamente superati, del turismo di massa in alcuni, fragili e preziosi, luoghi del mondo. Apriti cielo. Un'alluvione di critiche gli è piovuta addosso. Critiche, per lo più, nascenti da una lettura rovesciata del senso autentico del suo commento. Il comandante aveva scritto: "Vabbè, lo stermino. Però ha portato tanto turismo". E con questo intendeva decisamente censurare l'atteggiamento dell’industria turistica, che non disdegna di fare commercio persino con la più grande tragedia del genere umano. Ora, se un manutengolo dei corleonesi dicesse, o scrivesse, "La mafia uccide, però dà lavoro", saremmo tutti autorizzati a ritenerla un'inaccettabile apologia dell'onorata società. Ma se la stessa frase la lasciasse cadere sulla propria pagina di Facebook un giudice antimafia, o che so, Saviano, don Ciotti, tutti capiremmo che si tratta della denuncia di una pericolosa mentalità, da stigmatizzare e respingere. Intuitu personae, il senso del post di Vittorio era chiaro.
Ma questo è il punto. Quanti dei cinquemila contatti di Vittorio lo conoscono veramente, ne sanno il valore, la stoffa, la dirittura morale? E quanti tra questi, pur non sapendolo, di fronte ad un commento, come dire, aperto a due lati, sono disposti a sospendere il giudizio quel tanto che basta per riflettere, per approfondire, per chiedere all’autore, magari in privato, i necessari chiarimenti, prima di passare all’insulto e alla minaccia? In realtà, non è dirimente rispondere ai superiori quesiti, stante la natura del mezzo al quale Vittorio ha consegnato il messaggio. Quel mezzo, infatti, non seleziona e non discerne, non contempla la pausa di riflessione ed alimenta, incoraggia le reazioni più istintive e viscerali. Non aver considerato questo, ritengo, è l’unico vero errore di Vittorio.
Ma è l’errore di una persona, come si dice, in perfetta buona fede. E come ogni persona in buona fede, come gli innocenti, Vittorio si è difeso male, preoccupandosi meno di scagionarsi dai calunniosi addebiti che di ricreare intorno a sé quel clima idilliaco al quale era abituato. Fine dell'incanto, caro Vittorio.
Non dovevi scusarti, a mio giudizio, ma ribadire la sostanza del tuo pensiero, in modo forte e chiaro, senza curarti di rabbonire quei probiviri in servizio permanente abusivo che si sono impancati a difensori di una nobile causa, naturalmente a costo zero.
Se qualcuno ha impropriamente utilizzato il tema dell'Olocausto, strumentalizzandolo, sono proprio costoro, cui non è parso vero, avendoti grossolanamente frainteso, di additarti al pubblico disprezzo e di chiedere la tua estromissione dalle cariche che tu ricopri e forse dal consorzio civile.
Lo vedi all'opera l'eterno meccanismo sacrificale, comandante? Lo vedi con quanta facilità la folla ti ha circondato, nel momento stesso in cui hai messo un piede in fallo? Ad alcuni di quei signori, rappresentanti di un pensiero politico a dir poco increscioso, voglio dire che a Roma, il 16 ottobre 1943, se le cose hanno un senso, tu avresti nascosto in soffitta i figli di Davide, mentre loro li avrebbero consegnati ai rastrellatori. A quel facinoroso, poi, che vorrebbe malmenarti e che ti dà dell’eunuco, voglio dire che non c’ha preso proprio per niente con l’epiteto, proverbiali essendo le tue attitudini e la tua fecondità, recentemente ribadita in modo sontuoso.
A questo sconsiderato, e a tutti gli altri tribuni senza lettera e senza giudizio, dedico la visione del filmato qui sotto, che è la registrazione di una bella serata dell’estate 2013, quando alcuni amici, veri e come tali necessariamente pochi, hanno presentato ad Agrigento Puntonave, il diario di bordo del comandante Alessandro.

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