'TANTI BACETTI AI BAMBINI' di Giandomenico Vivacqua

Abdul che vende fazzolettini di carta al semaforo, con ogni tempo, da quando aveva 8 anni, il giorno che ne ha compiuti 16 (oggi ne ha 24, ed è sempre lì) mi ha confessato che non sarebbe più andato a scuola."I libri costano troppo" ha provato a difendersi dal mio sguardo contrariato, istintivamente guardando a sua volta verso il padre, che dall'altra parte della strada fa lo stesso mestiere, ma con meno successo. Lascio sempre scivolare nella sua mano qualche moneta, anche senza contropartita. Lo faccio rispondendo ad un oscuro appello della mia natura, senza rifletterci, un confuso concerto di solidarietà e senso di colpa. E quando a volte capita che non abbia soldi con me, faccio ad Abdul un imbarazzato gesto dilatorio, e lui sorride perché sa già che la prossima volta la mancia sarà più larga. Incontro molti Abdul lungo il cammino, durante il giorno, e con tutti la scena si ripete, con piccole varianti specifiche. La zingarella che in piazza stazione tende il piattino non sorride mai, incassa il contributo e già guarda l'automobilista che segue. Io le sorrido sempre: è una sfida.
Alcuni poveri fanno un lavoro domiciliare, due li ho avuti in eredità da mio padre: un corpulento operaio di Sciacca, non più abile al lavoro, dice, a causa di un vecchio e misterioso incidente, ma ormai prossimo al traguardo della pensione sociale, che percorre la provincia con una vecchia utilitaria, non tanto scassata quanto la mia; una minuscola, raggrinzita donnina di età imprecisabile, poiché tale era nell'aspetto anche trent'anni fa, che senza alcun mezzo, forse trasportata dal vento, arriva dal Rabato ogni lunedì mattina, puntale, in ogni stagione, a riscuotere la sua provvista. Ciascuno di loro ha raffinato, negli anni, una diversa strategia retorica, con la quale immagina di favorire la transazione e di consolidare l'annoso rapporto. L'operaio, ricevendo il danaro, non manca di sottolineare che io sono "un galantuomo e un angelo, come tuo padre"; la donnina, mentre mi avvicino al cancello, già enumera, affranta e lacrimosa, la quantità dei disastri che durante la settimana si sono abbattuti sulla sua casa, dalla bolletta elettrica all'ennesimo ricovero del figlio alcolizzato, ma quando le monete cadono sul suo palmo, recupera un tono conveniente ed affettuoso e mai dimentica di lasciare "un saluto per la sua signora e tanti bacetti ai bambini" (continuasse a venire tra vent'anni, ancora direbbe così: "tanti bacetti ai bambini"). 
Non sempre, quando il citofono annuncia, perentorio e insolente, la visita dei poveri, il mio spirito si dispone immediatamente alla carità, alcune volte, anzi, lo confesso, ho pronunciato a bassa voce alcune sgradevoli parole all'indirizzo dei questuanti, perché futilmente mi strappavano ad una per me più rilevante attività domestica, una lettura, una deiezione (operazioni che di solito non disgiungo, nella penombra protettiva della salle de bains). Tuttavia, mai ho rifiutato di aprire, mai ho negato qualcosa, ottusamente fedele a me stesso ed al legato paterno. Nessuno in casa mi biasima apertamente, per questa modesta ed arcaica modalità con cui ritengo di mantenermi coerente col principio quod superest date pauperibus, e se all'arrivo dei poveri io non dispongo dell'argent de poche e mi metto a setacciare la casa come un folle in cerca di un po' di danaro contante, ecco che mi soccorrono i miei figli, con monete tintinnanti e banconote di piccolo taglio, talché, in effetti, in questi casi si tratta di una elemosina di secondo grado, ed i ragazzi imparano ad essere caritatevoli, a cominciare dal loro papà.

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