'SOCIAL STREET': COSI' VICINI COSI' LONTANI di Enza di Vita

Federico Bastiani, giornalista freelance residente a Bologna, dice: “Qualcuno potrà pensare che abbia scoperto l'acqua calda. A me piace pensare di aver scoperto un tè”. In effetti, l'ideatore della prima Social Street del mondo non ha tutti i torti. La sua idea di vicinato 2.0, che ha preso vita nel 2013 con la creazione del gruppo chiuso facebook “Residenti in Via Fondazza – Bologna” è, per forza di cose, qualcosa di diverso dalla semplice acqua calda.

Poco importa, infatti, se l'acqua l'abbia messa a bollire uno che ha adottato il metodo dell'atteggiamento “memore-affettivo” per raggiungere il suo obiettivo. Ma andiamo per gradi.                                                                          Federico, sentiva l'esigenza di socializzare con i propri vicini di casa per uno specifico motivo: trovare dei compagni di gioco al suo piccolo Matteo.

Insieme alla moglie, individua nel social network per eccellenza, ovvero facebook, lo strumento più idoneo ad instaurare un primo contatto con gli streeters (leggasi, in alternativa, tizi della porta accanto), sovvertendo la logica che vuole i social come mezzo di connessione tra soggetti fisicamente lontani

A quel punto, Federico, deve mettere il cellulare in tasca e praticare un po' di sano e selvaggio volantinaggio lungo la strada di residenza per far conoscere, a quanti più vicini possibile, l'esistenza del gruppo facebook.

In poco tempo, le adesioni al gruppo si fanno numerose ed il tè, ovvero il particolare revival della comunità perduta in via Fondazza, manco tempo di accendere il fuoco è già servito.

Ed è, per forza di cose, qualcosa di particolare questo revival, pardon questo té.

Perché il malinconico Federico, che proviene da un piccolo paese in provincia di Lucca, ad un certo punto, tenta di mettere in moto scambi interpersonali tipici dei piccoli contesti sociali. E per fare questo ha dovuto, per prima cosa, convincere i suoi vicini ad iscriversi al gruppo facebook.

Ma cosa c'era scritto di così tanto accattivante in quel volantino?

Forse qualcosa che ha fatto crashare la condizione psichica tipica dell'abitante della metropoli che, come dice Simmel, si sostanzia in un certo grado di riserbo e diffidenza relazionale che spesso impedisce di conoscere, anche solo di vista, i propri vicini di casa.

A questo punto, quei crashiati,si sono iscritti al gruppo facebook, assecondando il bisogno relazionale di Federico che solo loro, i suoi vicini più prossimi, potevano soddisfare.

E questa vicenda mi fa pensare, come diceva Adam Smith, alla storia dell'uomo che ha un bisogno quasi costante dell'aiuto dei suoi simili e che riesce ad ottenerlo solo se capace di indirizzare l'egoismo altrui a proprio favore.

E Federico, in questa storia, avrà forse intercettato nei suoi vicini una sorta di egoismo sentimentale-razionale? Non lo so.

In ogni caso, tutti gli iscritti, hanno avuto modo di apprezzare i vantaggi derivanti dalla creazione della social street. Persino oltre oceano, dove il modello è stato replicato.

Ad oggi, si contano più di 450 social street nel mondo e tra queste c'è pure quella di via Foderà, nel centro storico di Agrigento, nata lo scorso dicembre.

Nadia, bancaria, ed Elvira, imprenditrice turistica, ad un certo punto, si sono stufate di salutarsi timidamente e frettolosamente quando la strada imponeva di incrociare i loro sguardi. E così, un giorno, si sono fermate e hanno parlato. Qualcosa doveva cambiare in quella strada; la via Foderà, doveva diventare più a misura d'uomo.

Da lì, nasce il contatto con Luigi Nardacchione, altro storico fondatore della social street di via Fondazza che, raggiunto telefonicamente tramite un amico comune, spiega che per portare al giusto grado di ebollizione il tè è necessario rispettare tre principi fondamentali che stanno alla base del funzionamento delle social streets.

Questi sono: la gratuità, la socialità e l'inclusività.

Seguendo questi principi i “foderiani”, così amano chiamarsi, hanno potuto portare avanti numerose iniziative che hanno messo al centro la strada e le relazioni di vicinato come bene comune.

E se Sennett definisce i blog deprimenti perché alle parole scritte manca un sopracciglio che si solleva o una mano che si posa sul braccio, la community della social street sembra sopperire a tale lacuna essendo al tempo stesso con e “without propinquity” (senza vicinanza).

Possiede, cioè, quella capacità di coniugare ed alternare funzionalmente il virtuale e l'incontro reale a seconda delle esigenze personali e collettive degli streeters.

Insomma, si potrebbe dire che nella social street si è vicini di casa, ma non troppo!

In altri termini, il vicino si palesa “just in time” on line quando risponde ad una richiesta di aiuto, e si materializza “just in time” off line quando la richiesta, per essere soddisfatta, necessita di un incontro faccia a faccia.

E' una comunità potenziata, dunque, dalla capacità di “essere” anche nella dimensione virtuale ed è proprio questa risorsa che le consente di ottimizzare il tempo di risposta e di produzione delle relazioni sociali utili al suo più efficiente funzionamento.

In sintesi, la social street, appare essere un valido strumento di coesione sociale capace di mettere in moto una micro socialità causale, incentivata e programmata che favorisce la fiducia reciproca e lo sviluppo di legami cooperativi.

Ora, a Paola, ultima arrivata in via Foderà, poco importa se il tè messo sul fuoco da Nadia ed Elvira non l'avesse ordinato nessuno. Quelle, te lo offrono. E' gratis.

E' “passione per l'altro”, direbbe Elena Pulcini; e il donare qualcosa ad un altro non è sterile atto di altruismo. E' cura reciproca, è il legame considerato come bene in sé.

E Paola, che proviene da un piccolo centro del vallone nisseno, sa quanto potere hanno i legami comunitari. E' per questo è sempre pronta a preparare una buona tazza di tè al vicino che bussa.

E che bussi suonando al campanello o che preferisca mandarti un poke su facebook, il vicinato 2.0 non cambia.

Perché anche in via Foderà, grazie a Federico, ormai tutti sanno che il té è più buono se lo condividi.

Parola di quei crashiati di social streeters.

 

 

 

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