LA RAGIONE 'AMPIA': TERZA VIA DELLA FEDE di Pepi Burgio

Ecco di nuovo tra le mani a distanza di alcuni anni il testo della Lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI nell’Aula Magna dell’Università di Ratisbona il 12 settembre del 2006. Il pretesto mi è offerto da un bel saggio scritto sull’argomento dal professor Francesco Bellino, docente di Filosofia morale dell’Università di Bari, raccolto assieme ad altri interessanti contributi nel volume collettaneo La provocazione del Logos cristiano - Il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI e le sfide interculturali, pubblicato da Rubbettino nel 2017; e anche dalla distanza temporale, sono trascorsi ormai quindici anni, che ha stemperato le polemiche roventi di allora, coinvolgendo numerosi esponenti di fede islamica, risentiti da un passaggio della Lectio del papa, giudicato oltremodo offensivo. Joseph Ratzinger, forse ignorando le possibili conseguenze, o forse, ma è un mio cattivo pensiero, prevedendole, ha citato in quel discorso il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo (sec. XIV), che rivolto ad un persiano colto con cui si intratteneva a dialogare, così sentenziò: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava.” Apriti cielo.

Successivamente Joseph Ratzinger ha avuto modo di chiarire in che senso andasse letta la citazione, però i buoi erano già scappati dalla stalla. Ma, aldilà delle polemiche, peraltro nel complesso sopite, e del tema delle sfide interculturali, centrale nel Discorso di Ratisbona, un interesse tutto particolare riveste le argomentazioni addotte da Benedetto XVI per individuare l’architrave filosofico e teologico della presunta sostanziale continuità tra razionalità greca e spirito cristiano. Tesi questa respinta da alcuni studiosi, tra questi Umberto Galimberti, che in realtà è di antica ascendenza. Per Ratzinger la de-ellenizzazione del cristianesimo ha condizionato non poco la riflessione teologica fin dagli inizi dell’età moderna. Sempre nel  Discorso di Ratisbona, vengono individuate tre “onde” che si infrangono contro la “ragionevolezza della fede”. Provo a riassumerle. La prima “onda” è rappresentata dalle ragioni di fondo della Riforma protestante, nel suo appellarsi alla liberazione della fede da ogni appesantimento arbitrario sia filosofico che teologico, al fine di ricondurla alla Sola Scriptura, ovvero, come dice papa Benedetto, alla “pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica”. A questa prima messa in crisi del Logos cristiano, si sarebbe associato anche Kant, allorché ha legittimato la fede esclusivamente nell’attività pratica, morale, dell’uomo.

         Seconda “onda”: la teologia liberale dell’ottocento e del novecento, esplicitata al più alto livello da Adolf von Harnack, un autorevole teologo protestante che avrebbe ristretto la figura di Gesù nello spazio angusto della semplicità del messaggio, sottraendolo ad ogni incursione teologica e riducendone il rilievo filosofico alla sola morale. Infine, la terza “onda”, l’inculturazione, ovvero la prima delle forzature soggettive, “imperialistiche”, compiute dalla chiesa dei primi secoli nei confronti dell’ellenismo. Dice Ratzinger che questa tesi, oltre ad essere “grossolana ed imprecisa”, è anche “sbagliata”: “il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco, un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento”.

         Giovanni Reale, importante filosofo di orientamento cattolico, studioso del pensiero antico, ha fra l’altro incentrato la propria riflessione sulle numerose e sostanziali differenze tra pensiero greco e messaggio biblico; fino al punto di definire quest’ultimo come fondamento di una autentica rivoluzione spirituale. Egli rintraccia tuttavia nel “Prologo del Vangelo di Giovanni (oltre che nelle lettere di Paolo), dove si parla del Verbo o Logos divino, e si parla di Cristo appunto in termini di Logos”, il luogo dove si compie la mediazione di fede e ragione. Nel prologo del Vangelo di Giovanni, afferma Reale, “il concetto di Logos permise di utilizzare in modo fecondo, una serie di spunti del pensiero ellenico, che nel concetto di Logos era culminato”.

         A Joseph Ratzinger di certo non sfuggono le notevoli differenze tra il messaggio cristiano ed il pensiero greco, ma ritiene che la fede non sia altro dalla ricerca condotta dalla ragione umana, che nel suo procedere realizza uno sviluppo “conforme” all’essenza della fede. Una razionalità non più   coincidente soltanto con “ciò che è verificabile nell’esperimento”, ma aperta alla trascendenza e alle insopprimibili domande ad essa connesse, dischiude, dice Ratzinger, “tutta la sua ampiezza”; ricorrendo più di una volta ad un sostantivo, ampiezza appunto, di forte suggestione spirituale. Inoltre, se si assumono gli argomenti del saggio del professor Bellino, nel Discorso di Ratisbona sono condensati alcuni dei temi, affrontati in numerose circostanze, che costituiscono il nucleo della riflessione teologica di Joseph Ratzinger; nonché le preoccupazioni per il destino dell’Occidente: 1) “La ragionevolezza della fede non è una conoscenza solo intellettiva ma ‘vitale’”. Papa Benedetto dice che è “un sàpere, cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo di esistere, un modo gioioso di stare al mondo […]. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale ma vitale”. 2) “La ragionevolezza è una forma della razionalità che coinvolge tutto l’uomo, anche la sua dimensione affettiva, è una modalità cognitiva di tutta la persona umana”. 3) Essa è una intuizione, non si coglie mediante un rigoroso procedimento logico, ma “ci accade” nei rari momenti in cui la quiete sospende il turbamento associato alla ricerca. 4) “La fede non è irrazionale […] perché è ragionevole e la ragionevolezza è una forma di conoscenza”.

 

         E’ evidente quindi, e il professor Bellino lo rimarca adeguatamente, il rifiuto da parte di Benedetto XVI di due modi di condursi nella dimensione religiosa. Il primo consisterebbe nel sottolineare la paolina “follia della croce”, secondo un filone di grande attrazione, quello del cristianesimo lacerato, irrazionale, rappresentato da Tertulliano, “credo qui absurdum”, fino a Kierkegaard, che racconta di un cristianesimo scandaloso e paradossale, passando per s. Agostino e per Pascal. Il secondo, di impianto fideistico, il quale concependo Dio come entità postulabile soltanto attraverso la fede, nega la ragionevolezza, il Logos. Del primo indirizzo Benedetto XVI critica l’irrazionalismo e l’inaccettabile commistione di assurdo e mistero; al secondo, quello fideistico, attribuisce, in conseguenza della negazione del Logos, anche la derivata negazione della relazione tra uomo e Dio. Il Logos, dice Francesco Bellino a conclusione del suo saggio, condivide la radice leg, che significa raccogliere, con religio, legame.

 

         In ultimo, le parole finali di Benedetto XVI, occasione rilevante per riflettere ed approssimarsi a quella “ampiezza della ragione” che su un versante non confessionale ha rappresentato il rovello della grande filosofia tedesca del primo novecento. “L’Occidente, da molto tempo, è minacciato da un’avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza - è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente.”

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