PER UN PUNTO IN PIU' (O IN MENO) di Pepi Burgio

 

         Il punto, si sa, oltre che segno di interpunzione è un espediente retorico che conferisce, quando talvolta venga adoperato in luogo della ordinaria virgola, una particolare musicalità al periodo; al pari di uno spartito, dove il punto posto sopra una nota prescrive che essa sia eseguita separata, tronca, rispetto alla seguente.

         Il punto può anche esprimere perentorietà, in modo da enfatizzare uno scarto temporale, specie quando dovesse precedere un passato remoto, forma verbale cacofonica e démodé, legnosa in ogni caso, da usare dunque con moderazione. Solo i grandi scrittori riescono a levigarne la durezza appoggiandolo a magnifiche immagini poetiche.

         Sul punto, “mezzo espressivo di quel gran segreto dell’arte delle parole”, qualcosa ha detto Alberto Rossi, autore per Adelphi di una prodigiosa prefazione al Dedalus joyciano. Lo ha fatto citando Isaac Babel, scrittore russo della prima metà del novecento: “nessuna lama potrà penetrare un cuore umano con tanto stupefacente effetto quanto un punto fermo sapientemente collocato.” Poco più o poco meno di una facezia? Non credo.

         Il punto in realtà è una gran risorsa. Chiude e sigilla una perla espressiva (“Non c’era gioia nello splendore del sole.” J. Conrad); rallenta l’evaporare di una atmosfera (“Penetravamo sempre più in fondo nel cuore della tenebra. Regnava una gran quiete.” J. Conrad); protegge la scrittura da possibili eccessi di fervore nel flusso narrativo; può consentire alle parole, sia pure in rari casi, di approssimare altezze oracolari. A differenza della virgola, che è fenomenologica, il punto è teologico; il punto è assertivo, la virgola dialogica; il punto inquieta, la virgola rasserena; il punto è tautologico, la virgola diviene; il punto, infine, è gotico, dadaista l’assenza di punteggiatura. 

         Gustave Flaubert, uno dei più grandi scrittori d’ogni tempo, tanto grande da avere influenzato con i suoi romanzi perfino il linguaggio filmico, in particolare quello di Lelouch e di Truffaut, con L’educazione sentimentale ha fornito un esempio ineguagliato di scrittura. Grazie anche alla scelta di un punto, situato al posto giusto in luogo della virgola, ha rafforzato quel senso del “trascorrere e svanire nel tempo”, secondo Claudio Magris il vero “soggetto impercettibile del libro”.  

“Viaggiò. Conobbe la malinconia dei piroscafi, i freddi risvegli sotto una tenda, l’incanto dei paesaggi e delle rovine, l’amarezza delle simpatie troncate.” 

E più avanti: 

“Quando fu uscita, Frédéric aprì la finestra. La signora Arnoux, sul marciapiede, fece segno di avvicinarsi a una carrozza che passava. Vi salì, la carrozza scomparve. Nient’altro.”