SPUNTI SOSTANZIALI SULLA VITA di Pepi Burgio

Due cardinali, entrambi di alto sentire, offrono, con generosa larghezza, nutrimento critico a questi nostri tempi fertili di parvenze, aridi di sostanza. Il livello delle loro riflessioni appare profondo in assoluto, vertiginoso se comparato al birignao dei chierici del nostro paese; i quali, suffragando il vaticinio di Giulio Meotti, raro esempio di scrittore incline a trattenersi presso le domande radicali, battuti in buona parte i sentieri dell’autodeterminazione, fatalmente scivolano verso l’autodistruzione.

Pochi giorni fa, a lungo intervistato per il Corriere della sera da un Walter Veltroni particolarmente compreso, il cardinale Gianfranco Ravasi ha proposto al suo interlocutore alcuni spunti per una riflessione che soltanto la pigrizia delle nostre coscienze potrebbe indurci a trascurare.

I temi affrontati sono quelli della libertà, del bene e del male, della generazione e della nascita, ovvero quelli che intercettano i fondamenti della vita e della morte: i romantici tedeschi li qualificavano come ricerca della sostanzialità della vita.

Ne abbiamo scelto alcuni:

 

Walter Veltroni: La libertà ha bisogno di senso. Ha anche bisogno di educazione di coscienza?

Gianfranco Ravasi: Credo che anche la riflessione sull’educazione alla libertà autentica sia fondamentale. Qui entrano in scena, purtroppo, i due attori fondamentali che sono in pratica feriti o zoppi: la famiglia e la scuola. L’educazione, educere come “tirar fuori” il meglio lentamente, è fondamentale per la libertà stessa. E purtroppo quest’educazione all’agire cosciente è assente. Nelle prime pagine della Bibbia c’è Adamo solitario sotto l’albero della conoscenza del bene e del male: esso non è nella tassonomia botanica, è l’albero della morale. Nella visione ebraico-cristiana l’uomo e la donna sono stati creati liberi e, quindi, sono quasi pari a Dio. “Tu hai fatto l’uomo di poco inferiore a Dio” dice il Salmo 8, perché può persino rifiutare il dettato di Dio. Puoi accogliere oppure strappare il frutto di quell’albero, cioè decidere tu ciò che è bene e ciò che è male. La libertà diventa perciò arbitra del destino umano.

W.V.: Questa è anche la spiegazione teologicamente più corretta di Dio a Auschwitz.

G.R.: Esatto. Dobbiamo riconoscere che almeno tre quarti del male esistente nel mondo lo creiamo noi usando la nostra libertà. […] nella visione ebraico-cristiana l’uomo è arbitro di sé, decide di scegliere il bene o il male.

W.V.: Denatalità: un mondo di scuole vuote e strade piene di capelli bianchi.

G.R.: Io penso che sarebbe significativo e giusto recuperare la bellezza della creatività racchiusa nella nascita. Siamo a Natale e la gente si affolla nelle strade per acquistare. Ma il Natale non è più celebrato come nascita, come inizio, come avvento non solo di Cristo ma anche dell’uomo e della donna. Se tu hai il senso del rispetto per il bambino, per la fragilità della sua nascita, per la sua debolezza e il suo bisogno di cura, per la sua bellezza, tu in quel momento esorcizzi dentro di te l’aggressività. Le grandi civiltà mesopotamiche, quando conquistavano una città, quale era la prima cosa che facevano per imporsi? Prendevano i bambini neonati e sfracellavano loro la testa sulla pietra (vedi il Salmo 137), e poi sventravano tutte le donne incinta per distruggere in radice un popolo, la sua memoria e il suo futuro. Questo è il frutto e il lugubre segno della guerra. Quindi se noi non vogliamo perdere la nostra identità fatta di umanità, dobbiamo tornare a coltivare l’amore per la generazione e per la nascita come fenomeno culturale, spirituale e non solo biologico. La nascita come evento umano, civile, sociale.

W.V.: Il futuro è compromesso dall’immanenza della guerra?

G.R.: Il futuro è legato al concetto di speranza ed è per questo che fermarsi solo sui tempi infami in cui siamo immersi non è giusto. Esiste nella speranza una ricomposizione dell’essere, un senso ultimo della storia. […].

 

            Appena un giorno dopo, il 24 dicembre, vigilia di Natale, un altro principe della Chiesa, Angelo Scola, scriveva per Il Foglio un articolo dal titolo emblematico: Il senso della nascita. Il tema della denatalità, a suo giudizio, non va ridotto alla fragilità delle politiche familiari, quanto piuttosto all’estendersi di una modalità di abitare il mondo, di percezione della realtà che rappresenta se stessa come aliena dal coltivare slanci, aspirazioni, idee verso finalità future. Inoltre, sempre secondo il cardinale Scola, la pericolosa indistinzione fra i necessari diritti del soggetto che arricchiscono la vita sociale, e la rivendicazione di pratiche che “non sono affatto diritti”, consolida la spinta nichilista, fortifica la secolarizzazione ed esalta l’individualismo.

Angelo Scola da uomo di fede conclude ricordando che Dio creatore ha scelto di passare attraverso l’esperienza della nascita, e lo ha fatto in modo “verginale”. La nascita è “accoglienza, abbraccio, allargamento di orizzonti”. Essa è, se non “ricomposizione dell’essere”, come per il cardinale Ravasi, meditazione “sull’esperienza dell’esser voluti”, come indica il cardinale Scola con una espressione di speciale finezza esistenziale.

Qualche anno prima in un suo scritto, Scola aveva liberamente rievocato alcuni versi “terribili e provocatori” di una celebre poesia, The Hollow Man, di Thomas Stearns Elliot: “Siamo gli uomini vuoti/ siamo gli uomini impagliati/ che appoggiano l’un l’altro/ la testa piena di paglia… Figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto privo di moto”.

            Da qui, pressante e drammatica, l’urgenza dell’ascolto della prosa di Henry David Thoreau quando invita a condursi con giudizio e fronteggiare solo “i fatti essenziali della vita”.

 

 

 

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