'IL SIGNORE DELLE FORMICHE' OVVERO L'ARTE COME CEMENTO AMOROSO di Giacomo La Russa

"Quando diciamo bello, che cosa intendiamo se non ciò che è intenso, ciò che è profondo? Un’opera è la manifestazione della verità soggettiva di un artista. Guardando ogni centimetro del tuo disegno, io devo capire che c’è la tua mano, che è un disegno che solo tu potevi fare a questo modo". Sono queste le parole che Aldo Braibanti, scrittore, sceneggiatore, mirmecologo, dice a Ettore Tagliaferri all’inizio di quella che sarà la loro travolgente storia d’amore. Qualche tempo dopo, nel corso del processo che Aldo Braibanti subirà per plagio (l’accusa sarà quella di avere ridotto il giovane Tagliaferri in stato di totale soggezione), interrogato dal giudice, quest’ultimo dichiarerà: «Aldo è stata la persona più importante della mia vita. Quando mi parlava di letteratura, di filosofia, di arte, io mi sentivo sollevato rispetto alla mediocrità che avevo intorno. Imparavo cose che nessuno mi aveva mai insegnato, tantomeno mia madre o mio padre». È questa, io credo, una delle più significative lezioni che provengono da 'Il signore delle formiche', l’ultimo film di Gianni Amelio. Esso, insomma, non è soltanto la pellicola che mette a nudo l’ipocrisia e il perbenismo dell’Italia degli anni ‘60 (in cui si finiva per resuscitare un’ipotesi di reato mai applicata -e poi dichiarata incostituzionale- per colpire l’amore omosessuale tra un intellettuale e un giovane della buona borghesia bolognese). Né è soltanto un film sul becero conformismo della stessa stampa nazionale contro il quale si batterà Ennio Scribani, un cronista che, sfuggendo al richiamo della direzione de L’Unità, scriverà articoli sulla scandalosa violenza di Stato che si compiva nei confronti di un compagno ed ex partigiano.

Né ancora è soltanto un film sul dilemma se, all’interno di un certo sistema, sia meglio il silenzio, la rinuncia a opporsi, a dire qualcosa (ciò che l’imputato farà per buona parte del processo perché, secondo lui, non ci sarebbe niente da cui difendersi) o se, invece, si debba, in ogni caso, scendere al livello di chi accusa e, pertanto, combattere per smontare l’arroganza del potere, di chi fa i codici a proprio uso e consumo (come Ennio Scribani suggerirà allo stesso Aldo Braibanti). Né, infine, è soltanto un film sulla straordinarietà dell’amore materno che sfugge a qualunque convenzione o morale pubblica (la madre fiera e dignitosa che Aldo Braibanti, autorizzato in ritardo a lasciare il carcere, potrà rivedere solo sul letto di morte). Il signore delle formiche, va detto, è, soprattutto, un film sull’arte come cemento, ragione di vita, ricerca inesauribile. La storia tra Aldo Braibanti ed Ettore Tagliaferri è molto più di una semplice storia d’amore omossessuale (se lo fosse, non varrebbe forse più di qualsiasi altra storia d'amore eterosessuale). Essa è, soprattutto, una storia d’amore incentrata sulla condivisione, sull’emozione comune, sulla capacità dei due amanti di sollevarsi rispetto alla volgarità, alla banalità e alla mediocrità del mondo che li circonda. È questo, in fondo, insieme allo scandalo legato alla sua dimensione sessuale, che faceva allora più paura e che ce la rende oggi così straordinariamente vicina, così straordinariamente fragile e preziosa. È l’arte stessa, dice Tarkovskij, «una dichiarazione d’amore, un riconoscimento della propria dipendenza dagli altri uomini, una confessione, un atto inconsapevole ma che rispecchia l’autentico significato della vita: l’Amore e il Sacrificio».

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