COME 20 ANNI FA LA GIUNTA REGIONALE PARLA AGRIGENTINO

 
Tre Agrigentini sono stati chiamati a guidare altrettanti assessorati regionali di grande profilo. Sono Roberto Di Mauro, alla Cooperazione, Luigi Gentile, ai Lavori Pubblici e Michele Cimino al Bilancio. A loro bisogna aggiungere il ministro alla Giustizia, Angelino Alfano, il segretario regionale di An Pippo Scalia e Benedetto Adragna senatore questore. Un ceto politico di successo non c'è dubbio. Come Agrigentini ce ne compiaciamo e facciamo loro i più sinceri auguri di buon lavoro. Ma la nostra provincia che benefici potrà avere dai loro successi istituzionali e politici?

C'è un precedente che non va dimenticato. Vent'anni fa, nel gennaio del 1988, Agrigento aveva una presenza istituzionale ancora più forte: 1 ministro, Calogero Mannino che era anche segretario regionale della DC, 4 assessori regionali ( Trincanato, Errore, Sciangula e La Russa), Salvatore Lauricella presidente dell'Ars, Michelangelo Russo e Luigi Granata presidenti dei rispettivi gruppi assembleari. Si parlò allora del clan degli Agrigentini.
Mi capitò di commentare quella circostanza sottolineando la strana coincidenza tra i riconoscimenti istituzionali e il particolare degrado sociale e culturale della nostra provincia quasi che le ragioni della fortuna dei politici si alimentasse della nostra miseria.
I risultati di quella esperienza di potere non sono stati così sbalorditivi se oggi ci ritroviamo a lamentare gli ultimi posti delle classifiche nazionali della nostra provincia.
Per la verità ci fu allora un drenaggio notevole di finanziamenti verso Agrigento sotto forma di opere pubbliche: il che oggi ci appare un aggravante più che un merito per chi ne fu responsabile, in considerazione dei risultati che ne scaturirono: poca occupazione nell'edilizia e  un accumulo vertiginoso di ricchezza per pochi. Nessuna modificazione strutturale del nostro territorio e dei suoi sistemi produttivi.
E non appena quelle risorse pubbliche furono interrotte, tutto tornò come prima a dimostrazione che un'economia assistita è solo un pannicello caldo, ma non la terapia del sottosviluppo.
Oggi se non vogliamo ripetere quegli errori dovremmo attrezzarci in termini di rinnovata progettualità, nell'assetto del territorio e dei nostri centri storici, nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali, in una nuova imprenditorialità non assistita, in una agricoltura delle tipicità, nell'offerta di servizi a misura del cittadino e nella bonifica delle sacche di illegalità.
I fatti ci diranno se questa ennesima straordinaria situazione di responsabilità di governo dei politici di casa nostra si tradurrà in decollo collettivo o se, ancora una volta, in un rafforzamento delle posizioni personali o di gruppo.

 

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