CARI AMICI ... di Domenico Balletti

Carissimi Amici,

mi perdonerete l’acrobazia, ma proverò a spiegare quanto le riflessioni di Tano Siracusa ed Alfonso Gaglio (Ciao Fonino, ciao Marcella!) sul film di Garrone e quelle sulle recenti vicende di politica agrigentina da voi così bene esposte siano tra loro accomunate molto più di quanto in apparenza si sia portati a credere.

Ho estrapolato qualche passaggio da qualcuno tra gli interventi pubblicati, che vi invito a rileggere.

Nel film va in scena insomma una specie di enclave, una nicchia antropologica nel cuore del territorio nazionale, un popolo che obbedisce a codici culturali e linguistici radicalmente ‘altri’, che a noi appaiono orribili e incomprensibili. (…) chi fra il popolo Rom e il popolo della camorra è più ‘altro’?

Chi, fra un picciotto della camorra strafatto di cocaina e con la pistola in tasca e un mendicante Rom al semaforo, è il più pericoloso?(Tano Siracusa – La Sinistra...)

Quando per qualche motivo gli abitanti del cortile di casa mia litigano, Marcella e la nostra aiutante domestica spesso non riescono a capire nulla di quello che dicono.(…)Recentemente un'amica mi ha confessato di avere una grande difficoltà percettiva a trovare un solo negozio di via Toledo, il vero cuore storico e commerciale di Napoli, che le desse la sensazione di non appartenere alla camorra. (Alfonso Gaglio – Lettera da Forcella)

 Lasceremo ancora fare, alzando le spalle dietro le trite parole “che se la vedano loro”, come se la politica fosse affare di altri, cosa loro, e non ci riguardasse (…) o, (…) decideremo di assumerci, sovrani, le responsabilità a cui, come cittadini, siamo vincolati? (Piero Baiamonte – La quiete che sa di resa)

 La sensazione che si ha, anche dalle cose ascoltate dai tanti amici durante le discussioni di questi giorni, è che sia in atto un’interrogazione comune più o meno consapevole sulle moderne condizioni dell’appartenere. Chiunque provi a dare un’occhiata agli articoli pubblicati o chi tra noi abbia avuto modo di partecipare agli incontri di queste ultime settimane troverà moltissimi richiami verbali, figurati e simbolici al sé, all’altro, all’identità, all’appartenenza.

Sorvoliamo pure sul significato e sul percorso evolutivo di termini e parole, ma facciamo il tentativo di associarli a quanto detto e scritto in questi giorni.

Un esempio per tutti.

Tano Siracusa ci avverte:

Chi fra il popolo Rom e il popolo della camorra è più ‘altro’?

Chi, fra un picciotto della camorra strafatto di cocaina e con la pistola in tasca e un mendicante Rom al semaforo, è il più pericoloso?

Tano sottolinea la spontanea analogia tra “altro” e “pericoloso”, il popolo della camorra è più “altro”, quindi il picciotto della camorra è il più “pericoloso”. La provocazione è voluta, le due domande sono la stessa domanda.

Sarà banalissimo, ma abbiamo tutti chiaro che restringendo il “sé” si amplifica “l’altro” ed inconsapevolmente il suo lato oscuro, facendolo percepire sempre più come perturbante, quindi pericoloso?

Credo che possa essere utile una ulteriore riflessione comune su quanto differiscano l’essere altro dall’essere pericoloso; rispetto ad una nostra comune ed astratta sensibilità di riferimento un rom è altro ma non pericoloso, un camorrista è altro e pericoloso.

Alfonso e Marcella non capiscono il dialetto dei camorristi del cortile sotto casa come non capirebbero quello dei rom, perché sono entrambi altri, ma nel primo caso altri e pericolosi o, come preferisce Tano, “più altri”, associando il più lontano al meno comprensibile, quindi più pericoloso.

Tano sa comunque benissimo che essere “più altro” non significa necessariamente essere “più pericoloso” se no dovremmo avere una paura fottuta che ne so dei Iatmul della Nuova Guinea, che sono l’etnia più lontana culturalmente e geograficamente dalla nostra e che sono una popolazione pacificissima come la nostra, con la gradevole eccezione di qualche anticonformista che ancora si ostina a fare il cacciatore di teste ed a praticare il cannibalismo rituale, più o meno come noi, che siamo gente cordiale ed ospitale, che si legge il giornale e si prende il caffè, con l’eccezione di qualche simpatica canaglia che squaglia bambini o di qualcun’altra che gli spara addosso (però sul giubbottino antiproiettile).

Nino Cuffaro in “Proposte nuove per Agrigento” riassume una possibile piattaforma programmatica (che vi battezzo arbitrariamente: di appartenenza) in quattro punti: la decostruzione, la riqualificazione del centro storico, la costruzione diffusa di strutture ed infrastrutture all’interno del centro storico in alternativa a quella dell’aeroporto, l’opposizione al rigassificatore.

Se l’intera condivisione di queste proposte può rappresentare l’identità in un gruppo, l’auspicio è di riconoscere a quelli che ne condividono solamente tre, due o una, trascurabile alterità o parziale appartenenza. Per triturarvi infine sofisticamente e definitivamente i coglioni: per creare un’identità vasta e condivisa ci servono meno “Più altri” e più “Meno altri”. Questo in generale.

Nel particolare, propongo modestamente l’approvazione di un solo punto, che metto ai voti:

 

  1. Apriamo a tutti; facciamo come Bossi, che si è inventata la cosa dei celti per tutte le popolazioni sopra Firenze, tanto chi se ne fotte se ad ovest c’erano i liguri, ad est gli illirici a sudovest gli etruschi e a sudest le popolazioni italiche e le donne di quei quattro celti che c’erano sono state inseminate selvaggiamente dalle legioni di romani piene di pugliesi napoletani e calabresi, come più o meno scriveva da qualche parte una decina d’anni fa Umberto Eco. Ecco, prendiamo esempio: apriamo a tutti gli agrigentini, siano essi nativi di Palermo, Caltanissetta o Reggio Calabria, cattolici, laici, musulmani, induisti, apriamo i manicomi, facciamo casa comune maschi e femmine allegramente, portiamo al fallimento il Bed & Breakfast di Enzo Campo, che ancora non ha idea di quello che lo attende se continua a mostrarsi disponibile, trasformiamolo in base logistica con Davide in cabina di regia comprandogli una decina di schede telefoniche a traffico illimitato e nominiamo coordinatore del tutto il simpaticissimo Emilio Messana, il quale sarà ben lieto di fare il salto della quaglia e di rilassarsi per la prima volta nella vita, avendo a che fare con un gruppo così ordinato, tranquillo e disteso, coeso ed omogeneo. Al settore tranquillanti propongo la delega con portafoglio al comune amico Paolo Minacori. Io di mio rimango momentaneamente in osservazione, in quanto, solidale con Groucho Marx, non vorrei fare mai parte di un club che mi accetti tra i suoi componenti.

 

Per chiudere con una parvenza di serietà ed a proposito di questa storia dell’altro: l’errore è dietro l’angolo; zingari e camorristi non sono la stessa cosa. Un saluto.

Grazie Giovanni per lo spazio. (Se capisci che non è cosa censurami pure che ti comprenderei perfettamente, ma se possibile censurami tutto o niente, che io sono come Eraclito, che a trovare miei frammenti si rischia che i posteri possano prendermi sul serio. Un abbraccio, mimmo)

 

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