IL CAVALIERE OSCURO di Vito Bianco

La “macchina dei sogni” hollywoodiana sforna in gran numero prodotti spettacolari che hanno per protagonisti eroi più o meno super, quasi sempre impegnati nella strenua difesa di un mondo (il nostro) minacciato da forze oscure o aliene. Può però capitare che uno di questi escape movie, pur rimando dentro le convenzioni del genere, si distingua per la qualità della messinscena e una certa complessità di scrittura, la quale mostra in trasparenza i lineamenti di un intrigante racconto morale.
Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan è uno di questi casi fortunati. Succede così che lo spettatore più avvertito vede un film felicemente “doppio”: un fumetto per bambini o adulti in vena di regressioni; e un noir fantastico che, come tutti i noir degni di questo nome, è una riflessione non banale sulla natura del male e sull’intreccio ambiguo e poco rassicurante con il suo opposto, il bene. Possiamo adoperare l’aggettivo oscuro, utilizzando la suggestione del titolo che stavolta, curiosamente, non cita il nome dell’eroe della saga, forse per meglio sottolineare la valenza morale di questo terzo episodio, che arriva dopo un capitolo dedicato alle origini traumatiche del protagonista dell’avventura, dove si vedeva chiaramente che a spingerlo all’azione era un molto tradizionale desiderio di vendetta che si sforzava di assumere l’altezza di un ecumenico (religioso?) spirito di giustizia.
Il “cavaliere oscuro” è naturalmente Batman, l’uomo-pipistrello, inquieto e ambiguo riparatore di torti notturno; ma sotto il costume d’acciaio si cela mister Wyale, fascinoso miliardario che odia i delinquenti e sogna di cancellare il crimine da Gotham City, una megalopoli di trenta milioni di abitanti che molto somiglia ad una New York di un futuro non molto lontano, una città verticale dove psicopatia e finanza mafiosa sono le due facce di una medesima medaglia.
In tempi di ossessione sicuritaria Batman è il supereroe che ci voleva. A prima vista incarna tutte le paranoie leghiste, tutte le fantasie di disinfestazione di un Borghezio. Wyale è ricco, ricchissimo; potrebbe starsene tranquillo nella sua fortezza dorata a prova si bomba e invece va in giro di notte travestito da pipistrello a menare le mani: a “fare giustizia”. Vuole a tutti i costi ripulire la città che ama, ed è facile immaginarne la vita grama già il giorno dopo la fine del lavoro. Senza crimine per lui sarebbe la morte: la noia.
Ma Batman è una figura sfuggente, ambigua. E’ lui stesso un fuorilegge, dato che la legge vieta la giustizia personale. A forza di frequentare la notte è diventato “oscuro”; sempre meno chiaro e sempre più straniero a se stesso. Prova ad interrogarsi sul limite etico dell’azione, anche grazie ad un maggiordomo intelligente (un impeccabile Michael Caine), sente che non tutti i conti tornanano, che esiste il rischio serio che la maschera si sostituisca al volto. Sente oscuramente che è la coscienza il vero campo di battaglia; che è nello spazio interiore che si decide l’esito della contesa tra i due opposti principi morali. Forse comincia a sospettare che la questione è molto più complicata, che ci deve essere qualcosa di sbagliato, di pericoloso, di troppo notturno in lui se non riesce più a smettere di essere il “pipistrello”, anche quando il prezzo da pagare sarà la rinuncia all’amore di una donna.
Joker è l’antagonista dell’eroe. Ha tutte le caratteristiche del cattivo allo stato puro. Uccide per uccidere. Per gioco, per burla; per amore del caos. E’ l’anima nera, il male immotivato che ha come obiettivo la distruzione e il contagio: la trasmissione della malattia e la creazione dei mostri. E quando l’integerrimo procuratore Dent si trasforma nello sfigurato vendicatore che ammazza per dolore i poliziotti corrotti, capiamo che Joker è l’agente del contagio, l’altro polo della dialettica morale: è il male potenziale nascosto dentro ciascuno di noi, spettatori orripilati davanti ad una nuova variazione sul tema della coscienza malata che combatte contro il proprio lato oscuro rischiando ad ogni passo di smarrirsi.
Nel finale Batman salva in extremis la vita a Joker e si carica sulle spalle la responsabilità di cinque omicidi che non ha commesso. Lo fa per salvare la reputazione di Dent, che muore dopo essere stato contaminato. L’eroe ridiventa il fuggiasco; l’ambivalenza è salva e la guerra può continuare, tra oscuri slanci dell’io supereroico, e i travagli incomunicabili della coscienza, a ribadire che il vero nemico è sempre dietro la maschera, che il più vicino può essere il più lontano.
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