AGRIGENTO: LA RESPONSABILITA' FA ACQUA di Alfonso Leto

Giusto un anno fa un articolo del Giornale di Sicilia, a firma di Alfonso Bugea, ci restituiva il lancio “pubblicitario”di una iniziativa, promossa dal sindaco di Agrigento Marco Zambuto e dal presidente del Consorzio del Voltano i quali ebbero la “geniale” idea di rilanciare e completare l’azione di saccheggio delle risorse idriche dell’entroterra agrigentino e che vede oggi (per le cronache più recenti) la Sanpellegrino-Nestlè Acqua Vera-Santa Rosalia agire indisturbata nell’unico bacino che costituisce la sola e più importante risorsa idrica condivisa dall’area dei monti Sicani e dalla stessa Agrigento. Ma pare che al capoluogo questo non interessi. Così come stenta a comprendere che ogni azione di difesa di quel bacino sia tutta resa alle proprie riserve e agli equilibri idrogeologici dai quali dipende gran parte del soddisfacimento del suo bisogno primario: l’acqua. A questa città interessa solo che l’acqua arrivi in qualunque forma (dal rubinetto, in bottiglia, in vasetti, spry...non importa) senza curarsi da dove e senza difendere le fonti da cui proviene e quali problematiche le minacciano. E chi se ne frega? Questo, semmai, tocca ai territori sui cui sono le fonti...salvo a ricordarsi che l’acqua è anche loro (da maggio a ottobre) e allora bisogna andare all’attacco.
...Dunque, l’idea di Zambuto consisteva nell’escavazione di un pozzo, vicino ai pozzi della Nestlè, e da questo estrarre e imbottigliare in bocce di 5 litri l’acqua per i supermercati del capoluogo “a prezzi” -era scritto- “da far impallidire quelli di mercato”. E tutto al grido di “riprendiamoci il territorio”, slogan di guerra lanciato dal sindaco. Come se di territorio, Agrigento, non se ne fosse già “preso” e dissipato abbastanza, esercitando una egemonia burocratica che ha sempre trattato la provincia amministrata senza dare nulla in cambio, come una piccola Pietroburgo siciliana i “suoi” villaggi.
Al duetto di geniali amministratori (ciascuno per l’ente di riferimento) si aggiunse il terzo personaggio, l’ingegnere Giuseppe Carlino il quale in virtù di tecnico avrebbe dovuto “portare a termine” quel progetto che sarebbe servito a fornire altra acqua (dalla fonte direttamente ai supermercati della città dei Templi) aggiungendo quest’altra conquista all’enorme quantità di quasi 300 litri al secondo che già da S.Stefano Quisquina partono per Agrigento e che gli enti preposti all’amministrazione di condotte e allacci (la piccola casta dei travet pietroburgurghesi) non hanno mai saputo garantire integralmente a destinazione, incapaci a districare la matassa degli allacci abusivi, fatiscenza della rete e furti d’acqua già noti alla sequenza dei prefetti degli ultimi decenni.
Insomma: chissà che fine ha fatto quel geniale progetto, mi chiedo, come se mi chiedessi che fine ha fatto quel successo dell’estate, quella canzone che tutti canticchiavano e ora nessuno canta più. E meno male!
Ogni estate ha i suoi tormentoni musicali. In genere hanno successo, ma si tratta sempre di canzonette di scarso valore. E ogni estate la città dei templi e della sete cerca ancora e sempre acqua, ma non si pone mai il problema di salvaguardare “come fosse davvero suo” (se proprio vuol riprendersi il territorio) la più importante riserva idrica del suo entroterra dalla quale dipendono gran parte delle sue provvigioni idriche (e della migliore qualità). Alla piccola Pietroburgo assetata, incapace di sfruttare al meglio le sue ingenti riserve idriche, non basta mai nulla ed è sempre in agguato ad espugnare l’acqua del bacino idrico della Quisquina, a “rubare in casa propria” e a dissipare senza ritegno la refurtiva e a non far nulla per accrescerne, salvaguardarne, proteggerne gli equilibri, lasciando ai villani della campagna, i quisquinesi, l’impari lotta contro il colosso multinazionale che emunge dalla loro stessa riserva ingenti quantità di acqua che potrebbero, invece, essere consumati nel tempo e da una sana rete di distribuzione pubblica delle acque. Quando vedono quelle belle bottiglie di minerale benedette dal nome apotropaico “Santa Rosalia”, non ci vedono più dagli occhi e sono pure contenti di dover pagare alla cassa la stessa acqua che invece potrebbe scorrere dai loro rubinetti. Accidenti! Ed è pure a buon mercato!
Tocca a qualcuno spiegare quello che –in realtà- gli amministratori e i tecnici della burokrazia agrigentina già sanno benissimo. E cioè che: il bacino preso sempre di mira è sempre lo stesso che viene saccheggiato da quarant’anni; che è un unico e solo acquifero che comprende anche tutte le sorgenti che alimentano l’acquedotto di S.Stefano Quisquina (e altri dei paesi vicini); che già nel 1982 proprio in contrada Margimuto, vicino ai pozzi della Nestlè, fu miseramente chiuso (fra le forti proteste civiche) un altro pozzo (della Montecatini) dopo vent’anni di depauperamento, per provata interferenza con la sorgente Capo-Favara che solo dopo quella chiusura ritornò a livelli normali. Si tratta proprio dello stesso luogo in cui andare a mettere a segno la soluzione finale lanciata un anno fa dal sindaco Zambuto.
Dunque la genialata dei tre moschettieri dell’acqua-subito non è altro che il consapevole e scellerato remake di quell’esperienza. Vorrei ricordare al dottor Carlino (già ben noto alla memoria dei quisquinesi) che ampi studi (uno addirittura promosso dallo stesso Voltano), di alto valore tecnico e scientifico, designavano una precarietà degli equilibri idrogeologici del bacino e non consigliavano allora (e a maggior ragione ora e per il futuro) un altro atto di aggressione ad una risorsa che va salvaguardata proprio per il futuro di tutti, agrigentini compresi. A meno che, questi, non vogliano in nessun modo rendersi conto che, finita questa risorsa, faranno del male a loro stessi, oltre che all’entroterra, finora troppo succube e generoso. Al sindaco della città delle Rovine, Zambuto, infine, e a quel suo “riappropriarsi delle risorse del territorio”, direi di cominciare a prendere coscienza del danno che lo sfruttamento privato sul bacino idrico della Quisquina comporta per tutti e, se ha coraggio veramente, anziché riappropriarsi a buon mercato di un territorio che ritiene “suo”, responsabilizzi e cominci a difenderlo; si documenti su quelle concessioni regionali, fin dalle origini: forse troverà una catena di irregolarità e omissioni tutte a salvaguardia di una determinazione inarrestabile e irresponsabile a sottrarre quella risorsa alla pubblica fruizione.
Si responsabilizzi il sindaco e con lui tutta la città a cui vanno molte responsabilità politiche, se la situazione è arrivata a questo punto. “Grazie ai politici” per dirla con le parole di un agrigentino che ha preso coscienza!
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