SONO USCITO TURBATO DALLA CHIESA di Giandomenico Vivacqua

Sono stato al tuo funerale. Il sacerdote che officiava non ha detto nulla su di te, salvo un riferimento alla tua giovane età e al conseguente strazio della tua famiglia. In compenso ha dottamente citato Foscolo e Carducci. Non sono un acceso anticlericale, tutt´altro, ma mi ha profondamente irritato quel modo impersonale di disbrigare la funzione, riassumendo il mistero della tua breve vita terrena e lo scandalo della sua fine nel preteso significato metafisico della morte in sé. 

Nessun ricordo dell´uomo Giuseppe, delle sue idee, delle sue passioni, del suo carattere, delle circostanze inaccettabili della sua scomparsa. Come se tutto questo non potesse avere cittadinanza nel rito, come se il diritto ad essere commemorati (ossia ricordati  collettivamente) spettasse nella casa di Dio solo ai titolari di una biografia   conforme al senso comune cattolico, non stridente coi valori medi della
comunità. Cosa ci ha voluto dire, quel sacerdote, con le cose che non ha detto?
Sono uscito turbato dalla chiesa.

Possibile che nessun aspetto della tua vita meritasse di essere richiamato come un esempio su cui riflettere? Possibile che  i tuoi anni, pochi ma vissuti generosamente, non offrissero a quel sacerdote neanche uno spunto di riflessione sul senso della vita, della tua e della nostra, non in astratto ma nel contesto di questa nostra terribile terra? Che
cosa vedeva di estraneo, di irriducibile al suo ministero quel prete nella tua vicenda umana, da tacerne tanto accuratamente ogni particolare?
Uscendo, ho incrociato lo sguardo di una ragazza magra che accorata ti piangeva, in silenzio. Non l´avevo mai vista prima, ma ci siamo misteriosamente riconosciuti e intensamente abbracciati.

Ho saputo poi che era la tua compagna nell´episodio della contestazione a Sgarbi.
Penso follemente che quell´abbraccio era la chiesa di Cristo, la comunità in cui non sarai mai estraneo e sarai ricordato non solo perché eri un uomo, ma anche perché eri quell´uomo.

 

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