CAMBIARE AGRIGENTO SI PUO’ di Giovanni Taglialavoro

Io so chi ha distrutto le mura medievali, le torri chiaramontane e le antiche porte negli anni venti; io so chi ha avviato negli anni cinquanta l’assalto alla valle dei templi spingendo la città verso sud auspicando case attorno ai templi, come Roma e Siracusa, opifici industriali nella piana di San Gregorio; io so chi ha costruito, e perché, gli orrendi palazzi sulla collina, deturpando in modo atroce la ‘forma urbis’, cresciuta attorno al nucleo arabo, consegnataci da mille e cento anni di storia; io so, chi ha fatto sparire il mare dalla vista dei sanleonini, per miserabili tangenti negli anni settanta; io so che avere trent’anni e vivere e lavorare ad Agrigento è impresa sempre più rara. Io so di non essere solo a pensare possibile un riscatto da tutto questo. E non solo per l’ottimismo della volontà. Un breve ragionamento, una proposta finale e frammenti di sogno in allegato. Si dice spesso che ogni società ha il governo che si merita e dunque si potrebbe dire che Agrigento ha avuto i sindaci, gli assessori e i parlamentari che si è meritata. Se così fosse non resterebbe, per chi non si riconosce nella qualità dei lasciti dei vari governanti, che la rassegnazione o una strategia di limitazione del danno o la fuga. In realtà il normale rapporto che altrove subordina l’espressione del ceto dirigente agli interessi e alle aspettative della società civile, ad Agrigento, e in altre realtà meridionali, si rovescia: sia perché una parte significativa della società civile è neutralizzata dalla predominio di una minoranza violenta e super organizzata ( cosa nostra) sia perché i poteri del ceto politico qui arrivano al punto di determinare le dinamiche e la stessa configurazione della sfera economica. Il cerchio si chiude ovviamente quando la minoranza violenta e superorganizzata condiziona, controlla o, addirittura, esprime il ceto politico. Ad Agrigento le ultime indagini della magistratura ci dicono che il cerchio è chiuso. Ma allora possiamo dire che Agrigento non ha il governo che si merita: una larga parte della società non è rappresentata e, soprattutto, le potenzialità di sviluppo che la città offre, in ragione della sua storia, dei suoi monumenti, della sua collocazione geografica, non trovano alcuna sponda nella pratica di governo della città. Fino adesso le forze dell’alternativa o hanno del tutto trascurato il rapporto con la società non rappresentata nelle istituzioni locali, concentrandosi nella denuncia dei legami tra ceto politico e illegalità, o hanno affidato ad astratte esigenze di sviluppo e a concreti accomodamenti le speranze di cambiamento che in realtà finivano col ridursi alla allocazione istituzionale o professionale di se stessi o dei propri amici. La città è allo sbando, mai, dal dopoguerra ad oggi, ha vissuto una stagione così negativa. I parametri economici, gli standard dei servizi, il tono culturale e l’aspettativa di futuro sono, comparativamente a quello che sta succedendo nel resto del paese e nella stessa Sicilia, tra i più bassi di sempre. Vi è una emorragia spaventosa di giovani qualificati verso il centro nord; il centro storico cade a pezzi; i servizi civili comunali pessimi; un vero e proprio declino culturale e di egemonia della città e dei suoi gruppi dirigenti sempre più subalterni agli ‘homines novi’ della provincia. Lo spirito pubblico si è avvitato e avvelenito nello scontro tra fazioni contrapposte, per interessi e per strumenti di comunicazione, che monopolizzano e distorcono i temi del confronto a favore dei loro obiettivi immediati. E in più ha fatto irruzione nella vita quotidiana un tasso di violenza diffusa, gratuita, non funzionale cioè a particolari interessi, che fa del lungomare di San Leone o del piazzale Aster o del Viale della Vittoria lo scenario di duelli rusticani con giovanissimi protagonisti e vittime, spia forse della devastazione del presidio etico delle famiglie e della generale affermazione del principio dell’autoaffermazione a tutti i costi. Agrigento deve voltare pagina. Può e deve proporre una nuova leva di amministratori e di consiglieri che chiuda col passato e reinserisca la città nel contesto nazionale diventandone una articolazione locale, parte di quella nuova classe dirigente che i nuovi equilibri nazionali stanno selezionando e non l’eterna provinciale e subalterna espressione di una specificità locale che si sente tradita, incompresa e umiliata dallo stato e dall’esterno a cui si pensa di chiedere comprensione o complicità per i propri limiti piuttosto che risposte ai diritti negati. Se non vogliamo restare ai margini della nuova Italia, se vogliamo avviare un modello di sviluppo autopropulsivo fondato sulla legalità e sulla piena valorizzazione delle nostre risorse, allora dobbiamo presentarci all’opinione pubblica locale e nazionale con un’idea di rinascita del territorio, della Agrigento che vogliamo nel duemila. L’idea unificante potrebbe definirsi quella che riesca a praticare una sorta di ‘riductio ad unum’ dell’acropoli, dell’agorà e dell’emporium: il centro storico, il parco archeologico e le coste. Dal tempo dell’antica Akragas, quando l’unitarietà dei luoghi era data, si è passati nel corso dei secoli, ad una loro autonomizzazione, con la città di Girgenti sul colle e il bosco della civita a valle e il borgo di San Leone sulla costa, per finire alla fase attuale dell’aggressione dei luoghi al loro interno e tra loro. Il risultato è stato lo sfiguramento del centro storico e il suo slittamento a valle, la distruzione delle coste e del borgo di San Leone e l’implosione ingovernabile della suo impianto urbano, l’aggressione a tenaglia, dall’alto e dal basso, dell’area archeologica. Noi stiamo vivendo una fase di passaggio delicata nella quale l’aggressione è stata fermata ma al costo della paralisi generale. C’è il rischio concreto di una rifeudalizzazione delle tre parti dell’unica città con il centro storico all’incuria, l’area archeologica all’ente parco e le coste agli speculatori. Manca un piano di riarmonizzazione di queste sparse membra della città. Solamente un piano che unisca e armonizzi acropoli, agorà e emporium può dare futuro alla città. Più in particolare dobbiamo unire le forze del cambiamento attorno alle soluzioni da dare ai seguenti problemi: - Procedure rapide e grandi finanziamenti per il recupero del centro storico anche attraverso un piano di viabilità basato sulle scale mobili e un piano di decostruzione dei palazzi oltre quota per restituire una forma urbis alla città; - Tutela e valorizzazione del parco favorendo la formazione di competenze gestionali, tecniche e scientifiche tra i nostri giovani individualmente e in forme associate; - Distribuzione nel centro storico di alcuni comparti museali, oggi concentrati a San Nicola, con l’utilizzazione di palazzi storici adeguati; - Risanamento delle coste cittadine e decongestionamento di San Leone, insediamento di strutture alberghiere di piccole e medie dimensioni, previa fasce di rispetto e di uso pubblico delle aree vicine alle coste; - Una politica culturale che favorisca non solo consumo e divertimento, ma spazi di autoespressione e strumenti di elaborazione che definiscano l’identità individuale e collettiva; - Una attenzione ai nuovi poveri dell’altra sponda del mediterraneo attraverso strutture di accoglienza e progetti di cooperazione. Su questi temi vorremmo vedere emergere una nuova leva di gruppi dirigenti. Su questi temi vorremmo che si alimentasse il dibattito pubblico. A palazzo di città vorremmo un ceto politico di larghe vedute, capace di pensare alla città nel suo complesso, finalmente consapevole che la valle e il parco costituiscono la risorsa principale della città. Un ceto politico consapevole delle ferite urbane e sociali da curare e rimarginare. Un ceto politico sensibile alla missione dei nuovi tempi della globalizzazione e pronto a dare un ruolo ad Agrigento coerente con la sua collocazione geografica e con la sua anima solidaristica. Un ceto politico infine che metta la produzione culturale a fondamento della sua pratica amministrativa attraverso il pieno coinvolgimento e la valorizzazione delle istituzioni che sono presenti nel territorio ( Parco archeologico, Università, Centro cinema narrativa, Accademia studi mediterranei, Centro studi pirandelliani, Teatro Pirandello, Centro Pasolini ecc. ecc.) e sollecitando l’intervento critico e creativo delle migliori espressioni culturali del nostro paese e dei paesi del mediterraneo. In questi ultimi anni ad Agrigento sono emerse energie, individuali e di gruppo che hanno espresso nelle sedi istituzionali, nei partiti, nella comunicazione sociale, nelle attività culturali professionali ed imprenditoriali ( penso alla miriade di Bad and Breakfast), ampie capacità di governo della città. Adesso si tratta di unire e valorizzare tutte le espressioni significative di questa area senza escludere nessuno e senza pretesa alcuna di primogenitura. Il presidente del Censis ha elaborato, in riferimento al modello tosco-umbro-marchigiano, il concetto del ‘diversamente vivere’: l’idea cioè che di fronte all’inarrestabile avanzata delle produzioni a basso costo delle industrie asiatiche, laddove non si possa rispondere con un rilancio della quota di sapere incorporato nel ciclo produttivo, resta la via della ricerca delle tipicità e della qualità del vivere, il modello, appunto, tosco-umbro-marchigiano. Agrigento ha due grandissime tipicità che nessuna concorrenza potrà toglierci: un grande patrimonio archeologico e l’estrema vicinanza alla sponda africana. Potrebbero essere l’asse per una fortissima identità fondata sui saperi e sulla solidarietà. Asse attorno al quale garantire sviluppo, professionalità e qualità del vivere. Prima o poi si dovrà capire che solamente modulando tutto il resto del territorio in funzione di queste due risorse, la città potrà avere un suo riscatto. Qui si ferma la proposta e inizia il sogno. Ho visto un centro storico risanato e restituito alla sua originaria forma ( con il taglio radicale dei palazzi fuori quota); al suo interno pullulavano studenti universitari e strutture di ricerca nelle sedi dell’ex tribunale, dell’ex ospedale di via Atenea e dell’ex convento dei padri Filippini e dell’ex bordello di piano Sanzo; le case della Terra Vecchia abitate da vecchie e nuove famiglie, animate da botteghe artigiane e da strutture di accoglienza turistica a gestione familiare; una pluralità di musei e centri culturali per mostre convegni e ricerche. Ho visto il parco archeologico, centro di studi e ricerche, con corsi di specializzazione funzionali alla sua gestione e sviluppo; ho visto i nostri giovani diplomarsi e laurearsi e lavorare nella terra dei loro padri con dignità e sapienza, con competenze riconosciute e valorizzate; ho visto il territorio circostante risanato, con le sue antiche ferite sociali ricucite; ho visto le nostre coste protette dagli assalti speculativi; il lungomare di San Leone con vista mare e spazi pubblici ridefiniti; ho visto scuole di Arabo per noi italiani e di Italiano per i nostri immigrati; ho visto le nostre campagne non più in attesa di concessioni edilizie o di falsi miti industrialisti, ma floride di colture e di prodotti tipici che tornavano a stupire chi le visitava e vi alloggiava nelle tante strutture agrituristiche... Ho visto anche l’Akragas tornare in serie C... Roma 13 aprile 2007

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