IL VOTO DI CATANIA (2)

A sinistra non alimenterei particolari preoccupazioni. La sinistra semmai ha un altro problema in Sicilia, antico e mai risolto: come reagire alla crescita dell’autonomizzazione di una parte del blocco della destra? Dovrà inseguirlo o combatterlo? E’ successo tante altre volte nella storia del nostro paese che in Sicilia, alla vigilia di svolte politiche nazionali significative, il blocco dominante locale, che pur sosteneva il vecchio equilibrio nazionale, in previsione del suo declino, si divide e una parte si ridefinisce invocando le ragioni di una autonomia conculcata. E’ successo nel secondo dopoguerra col movimento separatista, alla fine degli anni cinquanta con Milazzo, è successo all’inizio e alla fine degli anni novanta coi governi Campione ( 1992) e Capodicasa (1998). Il caso Milazzo è inadeguato rispetto allo scenario che si prospetta nel prossimo futuro. La sinistra era all’opposizione a Roma e a Palermo e Milazzo usciva dalla maggioranza regionale in contrapposizione alla maggioranza nazionale. Oggi Lombardo non esce dalla maggioranza locale né annuncia un’opposizione a Berlusconi e d’altra parte la sinistra, pur essendo all’opposizione, si candida realisticamente a governare. Forse è più interessante ricordare gli altri casi. Nell’immediato secondo dopoguerra la sinistra è al governo nazionale, non viene a patti con il separatismo, pur sollecitando e organizzando una spinta per l’autonomia (Togliatti a Messina 1946). Destruttura gli equilibri sociali della regione col movimento di occupazione delle la terre e con la riforma agraria, incassa la bella vittoria del Blocco del Popolo alle Regionali del 1947 cui tuttavia non segue il governo della Regione. Al contrario di quello che succede nel 1992 e nel 1998 quando la sinistra va al governo a Palermo ma per cooptazione da parte dei gruppi dominanti e sulla scia di sconfitte elettorali nel 1991 e nel 1996. L’esperienza del 1998 va ricordata: la sinistra era al governo a Roma e il blocco berlusconiano aveva vinto le elezioni regionali del 1996. Cuffaro esce dalla maggioranza e si accorda con la sinistra dando a Capodicasa, dirigente storico dei DS, la guida della regione. Un’altra manovra di palazzo porterà alle dimissioni Capodicasa. Si tira la volata alla travolgente vittoria di Cuffaro alle elezioni del 2001. Oggi la debolezza della sinistra in Sicilia e il timore dell’attuale blocco dominante siciliano di perdere il riferimento del governo di Roma, potrebbero ancora una volta favorire un’alleanza spuria tra ‘autonomismo’ e sinistra. E’ quello che va evitato. La strada per la sinistra è più lunga e passa inevitabilmente per il recupero dell’intransigenza morale, della elaborazione programmatica e di un nuovo insediamento sociale tra gli strati più poveri delle città. In Sicilia le scorciatoie possono favorire carriere politiche individuali di singoli esponenti della sinistra, ma non cambiamenti significativi. Gli interessi della regione, l’autonomismo in senso progressivo, possono e debbono essere assunti alla base dell’identità della sinistra siciliana ma all’interno di una ridefinizione dello stato nazionale, come articolazione di un modo nuovo di governare l’Italia: Palermo o Catania o Agrigento saranno meglio se stesse non se si contrapporranno a Roma ma se avranno Roma come sponda per il loro cambiamento.

 

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