LETTERE PATENTI di Vincenzo Campo

Il 17 febbraio del 1848 Carlo Alberto, Re di Sardegna, di Cipro e Gerusalemme, Duca di Savoia e di Genova, Principe di Piemonte e, per quello che ci riguarda direttamente, re di quello che era l’embrione del Regno d’Italia, promulgò le “Lettere patenti”: un editto col quale poneva fine a una lunghissima persecuzione nei confronti dei Valdesi; infatti li ammetteva “a godere di tutti i diritti civili e politici de' [suoi] sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici”; pur lasciando immutate le limitazioni “quanto all'esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”, dal punto di vista politico, li riconosceva come suoi sudditi. I valdesi si chiamano così, per chi non lo sapesse, perché seguaci di Pietro Valdo, un mercante lionese che a cavallo del XII e del XIII secolo, come avrebbe fatto qualche tempo dopo Francesco d’Assisi, si spoglio dei suoi beni e cominciò a predicare la Parola di Dio; non pensava affatto di porsi fuori dalla Chiesa di Roma, ma di contribuire al suo rinnovamento riproponendo l’esempio degli apostoli. Ma non fu così: fu scomunicato e insieme ai suoi seguaci, i “Poveri di Lione”, fu oggetto di persecuzioni e repressioni che durarono ininterrottamente fino a quel 17 febbraio 1848. Fu un atto importante, per i Valdesi che videro finalmente cessare le persecuzioni nei loro confronti e ancora oggi questa data, il 17 febbraio, è festa; festa che essi chiamano “delle libertà”. Io credo che fu un atto importante anche per il minuscolo Regno di Sardegna che col concedere libertà civili ai “diversi” che popolavano una parte del suo territorio, dimostrava una laicità e un rispetto allora impensabili e costituiva uno dei fattori che gli consentivano di porsi alla testa del Risorgimento italiano e di proporsi come lo stato che avrebbe potuto raccogliere, come sudditi, tutti gli italiani, come fu, del resto. Certamente fu un atto importante per tutti i democratici, italiani e non soltanto quelli sardo-piemontesi, credenti e non credenti, e, se credenti, di qualunque fede, che videro applicato, in concreto, quel principio d’uguaglianza che propugnavano. Ma credo anche che quell’atto faccia parte del patrimonio ideale di ogni democratico italiano che lo deve ricordare e festeggiare insieme ai valdesi e, con essi, insieme a tutte le minoranze d’ogni tipo, religiose, linguistiche, etniche, politiche; apparentemente ormai vecchio di più di centocinquanta anni quell’atto mostra tutta la sua attualità in un momento di grande difficoltà per la democrazia ogni giorno attaccata in maniera sotterranea e subdola da un potere che scivola sempre di più per una china autoritaria. In difesa dei valdesi e di tutte le minoranze perché questa è l’unica via per difendere noi stessi.
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