TUTTO IL MONDO E' PAESE? di Dante Bernini

1. Tra oceano indiano e mar mediterraneo.
Il mio discorso non può non cominciare con una lunga citazione, della quale mi scuso: “... Il giorno in cui il taxi su cui viaggiavo si fermò vicino a un tempio poco fuori città, ebbi l’occasione di visitarne uno. L’autista si scusò e disse che sarebbe stata una sosta di pochi minuti: aveva l’abitudine di fermarsi un momento, quando passava da quelle parti, per dire una breve preghiera e fare un’offerta. Era un tempio molto famoso, mi spiegò, e i visitatori erano sempre ben accolti…..Del luogo si prendeva cura un uomo robusto e cordiale, con anelli d’oro alle orecchie…..Tramite l’autista, che traduceva in hindi per me, spiegò…..che anni prima, quando il nuovo porto di Mangalore stava per essere completato, gli ingegneri del governo avevano cominciato a costruire una strada di collegamento con la città, circa venticinque chilometri più a sud. Ma ben presto, tra la costernazione generale, ci si rese conto che se la strada fosse proceduta come previsto dal progetto, sarebbe passata proprio attraverso il tempio. C’erano state veementi proteste della popolazione, ma il governo non ne aveva tenuto conto e aveva inviato un’ingiunzione di sfratto a tutti i proprietari di terra della zona. E così, un giorno, erano arrivati gli ingegneri con i loro macchinari e avevano dato inizio alle opere di demolizione: ma era avvenuto un miracolo: i bulldozer erano rimasti congelati al suolo prima di poter toccare le pareti del tempio. Gli ingegneri sbalorditi, avevano fatto chiamare funzionari governativi di grado elevato e tecnici di grandissima esperienza. Ma non c’era stato nulla da fare e alla fine, ammettendo la sconfitta, accettarono di deviare la strada e di farla correre intorno al tempio. Quando risalimmo in macchina, l’autista mi disse di guardare dal finestrino. Mentre ci allontanavamo, scrutai la strada con attenzione e osservando l’angolo della curva sembrava effettivamente che svoltasse per risparmiare il tempio…Sorridendo l’autista disse: - Hai mai sentito una cosa del genere? – Tutt’a un tratto un ricordo mi attraversò la mente. – Sì, risposi, una volta ho sentito una storia molto simile, in Egitto. Assentì educatamente, ma sul viso si dipinse un’espressione di incredulità”.

Questa storia si trova nel libro “Lo schiavo del manoscritto” dell’autore indiano Amitav Ghosh, più che un romanzo, direi, la ricostruzione attraverso la memoria di una ricerca linguistica e antropologica intorno alla figura di un presunto schiavo, che inaspettatamente compare in un documento manoscritto del XII secolo. Intorno al documento si sviluppa la ricerca che, rivissuta dall’autore, mentre si spostava fra il Cairo e diverse altre località mediorientali, dove quella ricerca “sul campo” si era svolta, consente allo scrittore di scrutare e, aldilà del tempo, approfondire la conoscenza di un’epoca e una civiltà avvolta ormai in una remota nebbia leggera quanto impenetrabile.
In un viaggio ben più modesto e senza alcuna pretesa scientifica, mi sono ripetuto la domanda dell’autista sorridente: “Hai mai sentito una cosa del genere?” E anch’io mi sono risposto: “una volta ho visto qualcosa di simile, presso Aragona in Sicilia, in una zona solfifera, dove esistono e soffiano e sbavano le maccalube, ed è attraversata da una strada che congiunge tra loro le città di Palermo e Agrigento con molti ricordi entrambe di una civiltà mediorientale. Ebbene nel bel mezzo di questa strada mi è insospettabilmente apparsa una casa, che come il tempio “bhuta” visitato da Ghosh, per chissà quale altro miracolo, non ha potuto essere “scongelata”: sta lì, un palazzotto anonimo, a più piani, coi panni stesi ad asciugare, e certo da quelle mura disadorne non emana alcun soffio dello spirito che dovrebbe abitarlo. Il palazzotto sta lì, tuttavia, e la strada del governo ha dovuto girargli intorno.

2. Cibo dei morti

Il prof.Ottavio Cavalcanti, direttore del Centro di documentazione demo-antropologica dell’Università della Calabria, fondatore e direttore del museo Civico di Rende (CS) ha pubblicato nel 1995 presso l’editore calabrese Rubbettino una raccolta di saggi in cui si studia in chiave antropologica la tematica alimentare, svelandone i significati simbolici, che appaiono particolarmente interessanti in questo periodo dell’anno dedicato ovunque al culto dei santi e dei morti, se vogliamo, dunque di quello che in linguaggio corrente si denomina l’Aldilà evocato nello stesso periodo dell’anno nel mondo anglosassone dalla festa dell’horror mortuario, detto Halloween. Il volume ha il titolo esplicativo “Cibo dei Vivi – Cibo dei Morti – Cibo di Dio”, e affronta scientificamente da più punti di vista una materia molto complessa e tutto sommato problematica, pur nell’infittirsi e continuo aggiornarsi degli studi antropologici. Non trovandomi nella condizione di riferire in modo appropriato su problemi di metodo o di approfondimento della conoscenza di fatti, simboli e rispettivi significati, cercherò di trarre dall’insegnamento del prof.Cavalcanti uno spunto per una riflessione di carattere per dir così, autobiografico, confidando nell’indulgenza del lettore verso un modesto tentativo di introdurre una personale testimonianza a carattere culturale, basata su ricordi accumulati nel tempo, senza alcuna distinzione sistemica.
E’ risaputo ormai diffusamente che in Sicilia la commemorazione dei defunti del 2 novembre, secondo il calendario liturgico, è occasione, o pretesto, di festeggiamenti per i bambini, che ricevono i doni dei familiari, come altrove accade per Natale o l’Epifania. Quand’ero bambino, in Puglia ci si chiedeva fra piccoli: che t’ha portato la Befana? In Sicilia, ormai giovanotto, sentivo ricorrere tra i piccoli per la strada la domanda: chi ti purtaru i Morti? La domanda per persona ignara può apparire scandalosa, regali dai Defunti? Tanto è assurdo il fatto che il concetto con significato negativo, viene usato in dialetto per indicare un fattore di disagio sopravvenuto: E chi mu purtaru i Morti?
Per ingraziarsi le anime dei Defunti, e così rinnovando la memoria delle più antiche civiltà, per la loro festa si offrono ai Morti dolci di particolari fatture, che in realtà, dopo la libagione solo virtuale, estrinsecata nella distribuzione di dolci, vengono consumati dai viventi, e principalmente dai bambini destinati a sostituire, e intanto a rappresentare quaggiù quelle presenze ormai evanescenti nel regno di Ade. Altrove, nel mondo anglosassone, il cibo offerto, ad esempio le zucche nella rappresentazione Horror della festa di Halloween, s’identifica esso stesso coi Defunti. Così accade in Sicilia con le “crozzi di morto”, biscotti impastati col miele, durissimi, come calcificati, ai quali però si aggiungono vistose dolcezze che imitano la natura, la cosiddetta frutta di Martorana di raffinata pastareale e di magistrale fattura e in modi fattisi ormai piuttosto grossolani, i pupi di zuccaro, secondo uno schema che si ritrova anche in qualche vetrina del Cairo.

 
 
 
categorie: