SCIASCIA IL 'GUASTATORE' VISTO DA ANDREA CAMILLERI di Francesco Taglialavoro

Tre sono le cose che mi sono annotato leggendo 'Un onorevole siciliano, le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia' di Andrea Camilleri, edito da Bompiani, 2009.
Sciascia diceva che era in politica per fare il guastatore e secondo me anche per intuire in quale direzione andava l'Italia in un periodo decisamente oscuro, dalla fine degli anni '60 agli anni '80.
Una delle due orecchie al libro l'ho messa a pagina 66: Sciascia il 6 marzo 1980 interveniva in Parlamento dicendo: ''... la mafia è - dice lui - (dove lui è il procuratore generale di Trapani nel 1837 don Pietro C. Ulloa, ndr) la sola possibile rivoluzione borghese che poteva avere la Sicilia. Allora, prendiamo atto che questa rivoluzione è stata fatta e che questa borghesia è al potere''.

Il secondo memo è a pagina 125, una seduta del parlamento del 21 novembre 1980, parla il presidente del consiglio dei ministri Forlani: ''... Si tratta , cioè, delle ragioni profonde di un sistema che già per gli antichi doveva avere origine nell'idea che coloro che se sono uguali sotto un qualsiasi aspetto sono uguali sotto tutti gli aspetti; essendo ugualmente liberi, gli uomini debbono poter essere assolutamente uguali. Questo deve valere, onorevoli colleghi, in ogni caso, ma soprattutto deve valere per gli uomini politici, per gli alti funzionari dello Stato, per chi svolge funzioni pubbliche e sociali, perchè mai esse si deformino in privilegio ed in arbitrio, ma costituiscano un impegno di onestà e di dedizione''.

C'è in effetti un terzo appunto che però faccio a tutta la Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, la strategia e gli obiettivi perseguiti dai terroristi.
Su tutto quanto scritto da Sciascia, che è argomentato, attento e tendente ad una ricostruzione e ad una conoscenza approfondita dei fatti, si avverte trasparire incredulità, sbigottimento, stupore e indignazione di fronte alla differenza fra quanto era potenzialmente fattibile (politicamente, socialmente, giudiziariamente, militarmente) e quanto venne fatto nei 55 giorni del sequestro Moro per liberarlo.
Sciascia comunica una sua sensazione di disagio nel constatare che gli apparati che lo Stato destina alla protezione dei cittadini e delle sue massime istituzioni sono stati guidati da partiti, uomini, linee ed atteggiamenti che non hanno ottenuto successo, e che poi hanno lasciato questioni irrisolte e non pochi dubbi.

Dopo la lettura di questa recente opera di Andrea Camilleri, a venti anni dalla scomparsa di Leonardo Sciascia, viene da chiedersi se Camilleri non abbia mai incosciamente voluto intraprendere la professione di giornalista, dato che il libro si sviluppa più come un'inchiesta che non come una collezione di interpellanze. Camilleri fa in modo che ad ogni paragrafo che si apre con un intervento in parlamento di Sciascia segua una contestualizzazione storica che ne chiarisce la genesi, a volte attualizzando e paragonando vicende degli anni '70 - '80 ai fatti politici dei giorni nostri. Una collazione, forse, quindi: un'operazione di recupero della memoria di alcuni importanti fatti e personaggi per raffrontare l'Italia del compromesso storico a quella dell'era di Internet, di Obama e di Berlusconi, con gli sguardi di Sciascia e Camilleri: per riflettere su cosa siamo stati e cosa siamo diventati.

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