LA DANZA IMMOBILE O DELL'ANNACAMENTO di Giandomenico Vivacqua

Caro Giovanni di Girgenti
ti scrivo per informarti che ho provveduto ad una leggera potatura dei frondosi alberi che ombreggiano la mia casa, cosicché dalla poltrona contemplativa, adesso, attraverso la grande finestra, vedo il mare tra le foglie del tiglio. San Leone è lì, a poche centinaia di metri, ancora per pochi giorni estemporanea e quieta; ma già le ruspe sulle spiagge azzardano uno sperimentale “ripascimento” (a lungo ho combattuto contro il correttore automatico, che vorrebbe mettere una enne al posto della pi; mi sono imposto, malgrado la parola sia molto brutta, perché tra il pendulo borgomastro e il Magnifico Lorenzo per il momento c’è differenza), mentre mastri d’ascia e pittori rifanno di gran lena i lignei chioschi paratropicali. Tra poco, una liquida moltitudine colerà su tutto e un profumo dolciastro di creme abbronzanti coprirà l’odore del mare. Domine, libera nos a malo.
Noterai, già da queste poche righe, che la mia idiosincrasia s’è aggravata e che ad alleviarne i patimenti non valgono le smisurate pattuglie notturne sui frumentosi contrafforti polacchi, cui mi applico in quanto coscritto senza grado dell’Armata a cavallo, il romanzo miniaturistico di Isaak Babel, scoperto per caso in uno scaffale della casa di San Giacomo, che merita di essere ammesso nella nostra segreta lista (a Lui non piacerebbe, sicuro).
Stai pensando che il mio stato d’animo crepuscolare proceda dalla delusione e dallo sconcerto per quanto emerso dalle urne? Hai ragione, solo in parte. Il risultato, sì, è depressivo, desolante; ma già prima del risultato, non metteva d’allegria una campagna elettorale condizionata da una legge infame e da liste opache e nepotistiche. E in Sicilia, il tailleur viola di Anna Finocchiaro, visto sullo sfondo magnifico del tempio dorico, mi era parso subito un vessillo troppo raffinato ed elitario per competere, seriamente, con la grisaglia populistica e spregiudicata di Raffaele Lombardo. La magistrata elegante e colta era il miglior candidato possibile, per noi. Il gemello ionico di Cuffaro, lo era per loro. Noi siamo pochi, loro sono molti. Il risultato è una fotografia senza sorprese dell’esistente. Aggiungasi a questo che il mio umore risentiva già della questione municipale, che tu magistralmente riassumi nella tua ultima nota con un ragionamento che sarei quasi portato a condividere, per amicizia e per il fascino intellettuale che i tuoi ragionamenti hanno sempre esercitato su di me. Tu in sostanza suggerisci di guardare, e giudicare, la reversione del primo cittadino sotto due diversi profili, politico e culturale. Culturalmente, la scelta del sindaco deve essere valutata molto severamente, in quanto espressione di un realismo senza valori. Politicamente, il giudizio deve essere sospeso, in attesa dei fatti, ossia in attesa di vedere di quali determinazioni amministrative saranno capaci il sindaco e la sua giunta.
Non lo so, amico mio. Non sono del tutto sicuro, questa volta, che il tuo sottile distinguo sia legittimo. E’ certo che non mi va di strillare un facile disprezzo per l’inopinato tradimento. Né d’altro canto voglio chiudermi in un vedovile silenzio, struggendomi per ciò che poteva essere e non sarà. Di sicuro non voglio rinunciare ad esercitare un giudizio politicamente pieno sull’affaire, qui ed ora, senza confonderlo con un consuntivo amministrativo, i cui termini a suo tempo si dovranno pur vedere. E politicamente, proprio politicamente, il giudizio è definitivo: l’esperienza del sindaco al di sopra o al di là dei partiti è fallita. Gli sopravvive la formula, che ha avuto elettoralmente successo, l’invenzione che ha consentito ad una città prigioniera della sua vocazione pseudo-moderata di conoscere, brevemente, la vertigine di una moderata alternanza, almeno una volta nella sua storia. E poi rimane questo giovane sindaco, con la sua cultura politica, che solo un anno fa dichiarava di volersi trascendere nel superiore interesse della città, ma che alla prima prevedibile difficoltà s’è affrettato a reincarnarsi nel se stesso di prima. Questo sindaco in futuro potrà certamente fare qualcosa di buono, e se accadrà non mancheremo di riconoscerlo. Egli ha la responsabilità di amministrare una città capoluogo, peculiare per le sue emergenze e le sue risorse: nessuno è perverso al punto da desiderare che fallisca su tutta la linea.
Ora ti lascio, Giovanni di Girgenti (e pro quota anche mio), e ti ringrazio per questa nuova impresa cui non mancherò, coi miei tempi e il mio stile, di concorrere.
Un saluto, come sempre devoto, dal tuo
Giandomenico
 

 

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