Il Tennis e Fontes Episcopi
Almeno una volta l’anno d’estate torno in Sicilia dove “quando posso” mi piace giocare a Tennis. Pratico questo sport da tanti anni e oggi mi ritengo fortunato a giocarlo ancora perché mi permette di mantenere la linea (almeno ci provo).
Per me il Tennis è più di un divertimento, è socialità, è stare all’aria aperta, è muoversi, è tutto quello che abbiamo dimenticato con la vita moderna e con il lavoro d’ufficio. E’ una speranza di stare il più possibile lontano dai farmaci, è una medicina naturale per il corpo e per la mente.
Se avete pazienza di arrivare fino in fondo (e sopportare i “colori” che ho voluto inserire per mettere in risalto quanto vi dirò alla fine) vi racconto un fatto accaduto a Comitini (Cummatì in dialetto), piccolo paesino di fronte al mio paese natale che è Aragona (Raona).
Comitini non è purtroppo un caso isolato perché la realtà siciliana e, in particolare, agrigentina, è piena di “piccole Comitini” che hanno voglia di riscatto.
C’è nella prima parte di Saggio sul luogo tranquillo di Peter Handke, l’immediata possibilità di riconoscervi i luoghi interiori dell’infanzia e dell’adolescenza. Di certe infanzie, di certe adolescenze. E di scoprire a tratti un idem sentire con l’autore se evoca l’attrazione di qualche adolescente per “le chiese vuote e i cimiteri cittadini”. Sembra che i luoghi tranquilli siano quelli in cui ci si sentiva “protetti e liberi insieme”.
Tale percezione marcava un particolare fastidio per quello in cui gli adulti speravano e i coetanei erano disposti a esperire; cioè il gusto di affermare una soggettività, singola o di piccolo gruppo che fosse, ribelle e scapigliata.
Ancora oggi, dice Peter Handke, “non so perché qualcosa in me opponesse resistenza all’idea di essere parte della compagnia”.
Saggio sul luogo tranquillo, a dispetto del titolo, espone in maniera frammentaria e diaristica il riconoscimento delle posizioni che la vita dell’autore ha assunto nel corso del tempo: la fuga dalla calca, il bisogno di defilarsi dai quadri familiari e sociali, fino al racconto nitido, letterale, della ricerca del confessionale, “lontano dai compagni rimasti nei banchi della chiesa”. Non è difficile, per chi ha maturato una sensibilità affine a quella dell’autore, riconoscersi in questa descrizione: “non di rado venivano momenti in cui desideravo di giacere in una delle stanze dell’infermeria del collegio”.
Forse non strano, ma certo curioso, a distanza di poco mi sono imbattuto per puro caso in due scritti, stupefacenti per la loro prossimità tematica, in questi giorni di furore iconoclasta. Intanto ho appreso da un saggio di Mimmo Franzinelli, Il prigioniero di Salò, che l’umiliazione degli italiani, “inadeguati al combattimento”, scatenò fra l’altro un’escalation iconoclasta, consumata dai tedeschi, la cosiddetta “guerra dei monumenti”. Sparite in Alto Adige le scritte in italiano, furono cancellati tutti i simboli del passato sgraditi alla “belva bionda”. Rimosso il monumento rievocativo della battaglia navale di Lissa (1866), analoga sorte fu riservata a Capodistria alla statua del martire irredentista Nazario Sauro. A Gorizia il disprezzo tedesco per gli italiani provocò perfino la distruzione del monumento alla Vittoria nella prima guerra mondiale. Quando Mussolini, di fatto prigioniero a Salò, venne a sapere di
C’è ancora chi ricordi un episodio del 2007, quando alla Sapienza 67 professori firmarono una lettera inviata al Rettore, con la quale, in nome della “laicità della scienza”, si giudicava “incongruo” l’invito rivolto al professor Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, a tenere una lezione, poi prudenzialmente non svolta, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico?
E c’è ancora chi ricordi che nello stesso anno, ad uno dei fondatori delle Brigate Rosse, lo stesso che aveva definito l’assassinio di Moro “il più alto atto di umanità possibile”, fu consentito dall’Università di Lecce di far conoscere le iniziative della cooperativa editoriale graziosamente battezzata Sensibili alle foglie?
Da diverse settimane tutti i giorni il governatore della Lombardia Fontana e l'assessore al welfare Gallera occupano buona parte dei Tg nazionali e regionali. Proclamano l'efficienza e l'impegno del sistema ospedaliero lombardo, lanciano accuse di inadeguatezza al governo centrale e impartiscono lezioni e richiami alla responsabilità dei cittadini lombardi. A me, che in queste settimane vivo a Milano, sembra tuttavia che questa incalzante comunicazione alla lunga non sia riuscita a nascondere il sostanziale fallimento del sistema sanitario lombardo. Una politica fondata su un massiccio investimento di risorse sul sistema ospedaliero, più privato che pubblico, e sull'impoverimento progressivo della rete di medicina territoriale.
St. James infirmary è un blues dalla genesi controversa (c’è chi ritiene che origini da un traditional irlandese del XVIII secolo), reso celebre nel 1928 dall’interpretazione di Louis Armstrong.
Dice di un uomo che va a trovare la propria donna, so cool, so sweet, so fair, adagiata sul freddo tavolo di un obitorio.
Misty è un pezzo musicale di rara bellezza composto nel 1954 da Errol Garner e successivamente trasformato in canzone con il testo di Johnny Burke.
Lucille, infine, è un magnifico Rock and Roll composto nel 1957 da Little Richard e Albert Collins. Sul testo, coerente con la tradizione del genere, meglio sorvolare, quanto al resto, impossibile resistervi.
Giandomenico Vivacqua sulla sua pagina fb ha riproposto il mio video ‘Vallicaldi’ con queste parole: ‘Alcuni anni fa un manipolo di sognatori disputò alla polvere dei secoli un groviglio di vecchie strade desolate, instaurando una communitas dove non c'era più la societas. Durò poco, come tutte le più belle cose, ma per nostra fortuna rimane il racconto per immagini di Tano Siracusa.’
E intervenendo sulla stessa pagina Martino Graziano scrive: ‘Finì perché era un sogno, perché era soprattutto una performance artistica, e in questo era la sua forza e la ragione della sua sopravvivenza nella memoria, come impressione durevole, come suggestione, come rimpianto.’
Quando ero piccolo ai bambini si raccomandava di non guardare in faccia a lungo gli estranei . Non sta bene, si diceva. Forse si dice ancora. Non si raccomandava di ‘non vedere’ , ma di ’non guardare’.
Di solito i comandi incomprensibili degli adulti vengono interiorizzati e assunti come regole di comportamento senza venire problematizzati, neppure da adulti.
Perché ‘non sta bene’ guardare insistentemente il volto di una persona sconosciuta?
Se un bambino lo chiedesse ad un adulto quest’ultimo avrebbe qualche difficoltà a rispondere.
Come avrebbe difficoltà a spiegare l’avversione diffusa alle riprese fotografiche che non siano quelle di posa. Evidentemente il fotografo non si limita a vedere, ma guarda, e lo fa consegnando ad un’immagine irrevocabile un volto che difficilmente sarà disposto a riconoscersi.
Cosa c’è di male nel ‘guardare’ che non c’è nel ‘vedere’?
‘Vedevo il mare e lei che nuotava ’ o ‘guardavo il mare il mare e lei che nuotava’ sono due frasi dal significato pressoché identico.
Non credo avrò mai la pazienza e la forza per studiare il libro di Grossman, cioè per scendere dalle montagne russe della sua narrazione e individuarne anche soltanto i principali nuclei tematici. L’inenarrabilità dell’Olocausto è certamente uno di questi, il più appariscente.
Pepi Burgio * pensa sia andato oltre la soglia segnalata da Manzoni, inquadrata dallo stesso Levi, contestualizzata da Todorov, che l’abbia attraversata sulla scia di Dostoevskij, Sade, Freud, Kafka.
Anche la pressione entusiasta sollecitata dalla lettura di un libro testimonia di affetto e di amicizia. E quindi, grato, ringrazio T.S. per avermi regalato Vedi alla voce: amore di David Grossman. Romanzo di particolare complessità e di improbabile fruizione senza una guida che raccomandi l’esercizio della pazienza e l’apertura verso extra-ordinarie, stupefacenti risorse linguistiche. La quarta di copertina si chiede come raccontare alle giovani generazioni l’Olocausto. Secondo alcuni esso è inenarrabile, in quanto situato in una zona che trascende l’orrore. La sua unicità non consisterebbe soltanto