Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

IO MOUKTAR KANTE, SIGNOR NESSUNO di Alessandro Tedesco*

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Il nostro archivio di voci differenti raccoglie, oggi, la storia di un giovane africano, disputata al silenzio dalla sensibilità di un nuovo collaboratore. Se i “compagni dell’avvenire” si chiederanno chi è stato Mouktar Kante, forse saranno severi con noi. A quei posteri che immaginiamo uomini giusti chiediamo indulgenza: fummo archivisti, non altro. G.V.

Aspetto i documenti. Due anni, ancora nulla. Ogni giorno, da due anni, aspetto. Mi sveglio tardi la mattina solo per rimandare l'attesa, sto a contemplare il nulla, perché nulla è la mia condizione. Nel mio paese ero Mouktar Kante, qui sono un nome qualsiasi, nato in un giorno qualsiasi, di un anno a caso scelto dagli operatori che mi hanno assistito allo sbarco. 

Boum Kunda, sulla riva sinistra del fiume Gambia, nella regione di Basse, un crocevia di persone, di etnie, di lingue: fula, wolof, mandinga, serer, francese, inglese, arabo, treni, autobus, camion, barche, gente in bici, a piedi che trasporta la sua mercanzia per portarla ai depositi regionali, al mercato. Sono cresciuto in un villaggio di capanne sulla sponda del fiume. Due, forse trecento persone che non conoscono né notte né giorno ma solo lo scorrere incessante della vita.

Ho 18 anni, almeno mi pare di sì.

Mi ricordo che quando sono partito ne avevo sedici, ora, qui, in Italia, dovrei essere maggiorenne. Non ho fatto la scuola, non ci sono andato, sono "analfabeta", hanno scritto così appena arrivato a Lampedusa.

 

A PROPOSITO DI 'SEGNO', DEL 'LIBRO' DEI LIBRI E DEL WEB di Vincenzo Campo

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Quando sono stato invitato a partecipare alla presentazione del il numero di Segno ora in distribuzione, avevo pensato di svolgere alcune mie considerazioni sulla Riforma protestante che ritenevo e che ritengo connesse a cose dette in occasione della presentazione del numero precedente; considerazioni che, dal mio punto di vista, valevano a sostenere le ragioni della continuazione della pubblicazione della Rivista.

La cosa curiosa e che mi ha colpito favorevolmente è che, proprio il numero del quale stiamo parlando, contiene un articolo di Felice Scalia sulla Riforma protestante e, in particolare, sui “doni” della Riforma stessa.

L’articolo è estremamente interessante e, per molti aspetti forse sbalorditivo, per me; già il solo parlare, in ambiente cattolico, di doni ricevuti dalla Riforma significa capovolgere un modo di vedere e di pensare tradizionale nella Chiesa cattolica; vero è che la strada, in qualche modo, è stata aperta e spianata dall’incontro di Papa Francesco con il Presidente mondiale delle chiese luterane, ma è anche vero che non sono mancate forti critiche in ambito cattolico.

Uno dei capitoli dell’articolo si sofferma sulla supposta asserita “fedeltà alla tradizione” usata per sostenere ragioni di opposizione alle critiche di Lutero.

E infatti il richiamo alla sola Parola, il ritenere fondativo della fede cristiana il riferimento ai soli Evangeli con esclusione della tradizione è uno dei punti fermi del protestantesimo: dunque la centralità della Parola e dello strumento che quella parola ha fatto conoscere e diffondere nel tempo e nello spazio, la Parola scritta, il Libro. Dal tempo di Abramo ai nostri tempi, dal Regno di Israele del tempo di Abramo a tutti i Regni del nostro tempo; perché, lo si voglia o no, piaccia o no, la Bibbia è “Il” Libro.

 

FRAMMENTI DI UNA GENERAZIONE CURIOSA di Roberta Schembri*

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Da questo luogo si parte. In questo luogo si arriva. Un’evidenza predicabile di ogni punto geografico sulla faccia della terra assume oggi, ad Agrigento, un carattere paradossale: ad arrivare è il surplus demografico (così si esprimono i sociologi) delle società proletarie del sud del mondo, uomini e donne che a mettersi per terra e per mare nulla hanno da perdere, fuorché la vita; a partire è la riserva strategica di una società sterile, dissipatrice di giovani vite, fondata sui sussidi e gli assegni di quiescenza. L’umanità che arriva sosta per un tempo vuoto, e quasi sempre riparte. L’umanità che parte, va in cerca di una pienezza di vita, e raramente ritorna. Gli uni e gli altri hanno storie da raccontare: infelici odissee, giornali di bordo, diari sentimentali, ragguagli di sé stessi, notizie di naufragi, bollettini di guerra, parole soffiate contro il cielo, frecce contro la noia, stratagemmi contro la solitudine, formule apotropaiche, anatemi e benedizioni. Suddovest, di queste voci, vuole essere un archivio: memoria per il futuro, se futuro sarà. G.V.

Diario di un millennio bambino

19 febbraio

Frozen è uscito nel 2013 e ancora siamo pieni di Else. A Natale, Carnevale, compleanni e su tutta l'oggettistica che si possa immaginare. Un fenomeno senza precedenti. Ma perché?

Elsa e sua sorella Anna sono ormai le regine popolarmente indiscusse, almeno per le bambine 4-8 anni. Per TUTTE le bambine.

 

NULLA E' COMPIUTO, TUTTA LA VITA VA VISSUTA E RACCONTATA di Vincenzo Campo

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Sto in bilico fra attualismo e passatismo, forse; non mi sento ancora un reduce –reduce di che, poi? Non della Campagna d’Africa e neppure della Guerra di Crimea, naturalmente, ma neppure delle barricate e degli scontri ideologici e anche fisici del mio sessantotto; perché per essere reduci bisogna che l’impresa alla quale s’è partecipato sia finita e la mia non è affatto finita, ho la pretesa di pensare che continui ancora e che non s’arresti; e tuttavia, non reduce, sono consapevole di non avere un futuro lontano davanti a me, ma solo prossimo e vicino.

Si pensa e si dice che il radicalismo è dei giovani e la  moderazione appartiene ai maturi – che è eufemismo per non dire “anziani”, che pare brutto; e io sono abbastanza maturo, anagraficamente, per essere a pieno titolo un moderato.

Ma il tempo fisico, quello che si misura in secondi, minuti, giorni, mesi e anni secondo metri diversi che chissà perché cambiano base -ora in base sessanta, poi in base trenta e poi dodici – c’entra poco, io credo.

Salvo a non esserci fermati eterni adolescenti, noi diciamo che il tempo ci cambia e ci trasforma; che, a noi che abbiamo attraversato tante primavere, ci ha cambiati e ci ha trasformati; ma, col dire questo senza che ce ne accorgiamo facciamo una gran bella semplificazione: non è il passare del tempo che ci ha cambiati, ma quello che in questo tempo è avvenuto e il modo in cui tutto questo è avvenuto: gl’incontri che abbiamo fatto, le relazioni che abbiamo intessuto, le grazie e le disgrazie che abbiamo attraversato.

 

LA CHIESA OSPEDALE DA CAMPO E LE FERITE DEI DIVORZIATI di Nino Fasullo

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C’è un dibattito nella chiesa palermitana in cui si discute della vita della gente, delle famiglie, dei giovani. Un dibattito non poco opportuno cui è quasi un dovere partecipare. Se il dialogo e il confronto diventano cultura nella Chiesa, anche la città si farà più ricca e solidale. Ciò su cui si sta discutendo riguarda, in particolare, la possibilità per la Chiesa di accogliere alla mensa eucaristica alcuni che lo chiedano, pur avendo esperienza di un secondo matrimonio. Papa Francesco invita la Chiesa, e particolarmente i Vescovi e i preti, a esaminare la questione attentamente, con discernimento e responsabilità pastorale.

C’è un passo del Vangelo di Marco (Mc 10,1-12) che sembra suggerire una riflessione idonea a orientare la pastorale e a assumere iniziative coerenti e concrete.

Racconta l’evangelista che, un certo giorno, si fecero avanti dei farisei per domandare a Gesù se “è lecito a un marito ripudiare la moglie”. Gesù non rispose subito con un sì o un no netti, ma domandò a sua volta che cosa Mosè avesse loro “comandato”. I farisei risposero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di divorzio e di ripudiare”. Al che Gesù fece osservare che Mosè aveva sì “scritto tale precetto” ma a causa della “durezza del vostro cuore”. Concluse il discorso facendo presente che “dall’inizio della creazione” non era così: il divorzio non era nel disegno di Dio.

 

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