Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

le belle lettere

 

QUANDO PARLAI CON BORGES, PERFEZIONE INTOLLERABILE di Stefano Vivacqua

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Avevo sempre desiderato andare a Buenos Aires, proprio come un adepto in pellegrinaggio ai luoghi sacri della sua fede. Sognavo di percorrere le vie del barrio di Palermo dove Jorge Luis è nato nel 1899, e dove è diventato Borges. Era lì, nella sua Palermo, che me lo figuravo sempre: nella casa paterna di calle Tucumàn, mentre sfoglia un volume della Enciclopedia Britannica, o in quella della sua amata, e defunta, Elena Beatriz Viterbo, nel cui sottoscala vide l’Aleph o immerso in facezie filosofiche con Macedonio Fernandez, il suo mentore bohemien e anarchico, o nelle divertite combutte con Adolfito Bioy Casares, il suo complice letterario, o durante l’abituale visita alla libreria anglo-tedesca, con in mano un arcano di Swedenborg o un inedito di De Quincey, o a passeggio per la calle Florida con la madre, l’imperiosa, onnipresente e ultranovantenne Leonor Acevedo, o nel rincasare al tramonto, all’angolo di una strada, testimone di una rissa di compadritos.

 

AMICIZIA. SGUARDI LIMPIDI, IRRINUNCIABILE CHIAREZZA di Giorgia Cuffaro

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Pubblichiamo il breve racconto con il quale Giorgia Cuffaro, alunna della classe I A del Liceo Classico "Empedocle" di Agrigento, ha partecipato al concorso nazionale Uguaglianza nella diversità - Premio Tommaso Viglione città di Venosa, ricevendo la speciale menzione "La forza della parola" per la qualità metaforica della sua scrittura.

Questa è la storia di un incontro singolare, dello scoccare di un legame

ineffabile, che non dalle patologie dei protagonisti ( rispettivamente autismo e

sindrome di Down ), ma da sguardi limpidi e irrinunciabile chiarezza trae

prezioso nutrimento.

«Buongiorno ragazzi. Benvenuti. Sono il professor Abello»

Impegnato com'era a digrignare i denti e dimenarsi, Mattia non si era reso

conto di essere già in classe. Si sentiva come se fosse stato rigurgitato dalle

fauci di un mostro spietato, stanco di tenerlo con sé. Quel mostro era sua

madre; Lucia lo aveva abbandonato, e per di più nel posto peggiore che

avesse mai immaginato.

Sovrastato da un'orrenda falange con a capo un generale in camicia,

punzecchiato da lance marroni mai viste prima, ne riconobbe in lontananza

un paio di meno affilate, più che lance quelle gli sembravano occhi veri,

azzurri come i suoi.

«Vattene via!» Urlò al fante più vicino.

E il nemico, prudente: «Nessuna diplomazia, eh? È il Bello ad avermi messo

qui»

«Devi andartene. Devi stare con quelli come te, quelli che hanno le lance al

posto degli occhi. Vattene subito»

La malcapitata ragazzetta, che poi scoprì chiamarsi Ludovica, cercava

atterrita lo sguardo del professor Abello.

 

CONFITEOR di Venerando Bellomo

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Ci sono dei lavori che sfuggono alla regola temporale imposta dalle conquiste sindacali, ma, anzi, diventano non solo forma e stile di vita, ma anche pensiero permanente. Sotto tale aspetto da paragonare ad una sorta di ordinazione sacerdotale: "sacerdos in aeternum". La prova di questo sta nel fatto che gli appartenenti alla categoria, anche fuori dal loro contesto d'occupazione, continuano a professare una sorta di credo laico, cercando di coinvolgere, in ogni modo, tale é la forza dell'ispirata fede, chi non appartiene alla regola: rapportando ogni fatto, anche minuto, di vita quotidiana ad un precedente canonico.

 

"EXTRA OMNES" di Venerando Bellomo

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E se ne stava lì. Davanti alla solita edicola col giornale sotto il braccio, un profilo antico col naso adunco, affilato, gli occhiali di tartaruga, il berretto all'inglese, stretto nel paletot di qualche decennio prima, che indossava con il riguardo che si ha generalmente per le cose nuove fiammanti.

Ma per lui il nuovo, dall'abbigliamento alle cronache, era il passato, non quello recente, ma uno a metà con quello che la grammatica indicava come trapassato, che non trovava disciplina e paradigma sui testi scolastici, ma che stava in tutta la sua lapidarietà nella memoria.

Sotto quel cielo, come l'asfalto consunto, così come ormai da settimane, da mesi, attendeva forse qualcuno, uno dei suoi compagni, un suo discente: di quelli che aveva, in quegli anni fulgidi, formato nella sezione di partito e che dopo era diventato suo seguace: allievo di quelle dottrine che erano state piegate alla concretezza ed al contingente.

E quello poi apparve, si materializzò quasi dal nulla: una sagoma imbacuccata che usciva da quella nebbiolina tipica che, in autunno, caratterizzava i boulevard del lungosenna.

Ed anche questo motivo di ambientazione, a ben vedere, secondo gli argomenti che gli erano consoni, era un segno dell'internazionalità negletta del suo paese.

Ora, d'inverno, era Parigi, diventava, poi, in primavera, il crinale erboso di Ortisei, ma anche Milano o Bruxelles.

E tutto, perciò, era accaduto anche qui, ancor prima che tutto avvenisse secondo le cronache di maggiore ampiezza e rilievo.

Le alchimie politiche, le svolte sociali, quelle ecumeniche, quelle conciliari, lì al suo paese, erano già storia, prima ancora che la cronaca ufficiale le raccontasse, come se questo avesse ingravidato la storia maggiore.

 

QUEL CHE VIDE SILVERIA di Alfonso Lentini*

La balaustra della terrazza, sorretta da una candida sequenza di colonnine, sembrava a sua volta sostenere, rimarcandola, la linea affilata del mare che vi si adagiava sopra. Sormontato il tutto da una barocca baldoria di nuvole.

Là, nello spazio sovrastante quella linea, secondo le millenarie meccaniche dei cosmi, sole luna stelle, talvolta comete e ogni altro corpo astrale ogni giorno scivolavano giù, scorrendo sulla superficie del cielo e infine sembravano squagliarsi nel mare. In una parola: tramontavano.

Questo accadeva da sempre, ben prima che la terrazza, insieme alla gran villa ottocentesca, venisse edificata; ben prima che venissero al mondo umani capaci di costruire e ville e terrazze; ben prima che sulla terra nascessero uomini o altre specie viventi in grado di percepire il moto degli astri. Tramontavano – sole luna stelle e ogni altro corpo astrale – assecondando, docili, i movimenti delle sfere.

Accadde però qualcosa che fece incrinare tutto questo. Fu un crac, un tumb, un clang-frrrr, fu l’evento. E la prima testimone ne fu Silveria, che in quel fatidico istante ebbe a trovarsi ad occhioni spalancati proprio su quella terrazza, dolcemente distesa su una sdraio con le gambe allungate verso l’orizzonte marino.

Ma non accadde all’improvviso. Accadde, l’evento, il vrrrr, preceduto da qualche lieve turbamento delle cose.

 

 

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