Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

memoria

 

RAVANUSA. IL MIO PRIMO VIAGGIO DA BAMBINO, IL MIO 'NOSTOS' DA GRANDE di Giandomenico Vivacqua

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La mia prima, fondamentale esperienza di viaggio, mezzo secolo fa, sono state le trasferte da Agrigento a Ravanusa, a bordo di una Lancia Appia, quando venivano le feste comandate e mio padre sentiva il bisogno morale di ricongiungersi con la famiglia d’origine. L’automobile, una berlina affusolata dai malinconici fanali rotondi, mio padre l’aveva acquistata alla fine degli anni ’50, dopo lunghe riflessioni e alcune ruvide ma efficaci lezioni di guida, impartitegli da un cugino acquisito in fama di essere un discreto pilota. L’Appia aveva portiere che si spalancavano al modo delle ante degli armoire, tanto spesse che quando si chiudevano emettevano un tonfo sordo e perentorio, come fossero le aperture di un caveaux della Banca d’Italia. Il sedile anteriore era un voluttuoso divano; la leva del cambio, posta orizzontalmente all’altezza dello sterzo, conferiva alla vettura, uscita di produzione nel 1963, un irresistibile aspetto retrò.
 

I LUOGHI E LO SPIRITO. NEI VICOLI IN APRILE LE LACRIME VERSATE di Venerando Bellomo

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Nullus locus sine genio

“Genius Loci”, è il titolo di un libro di Roberto Cotroneo che unisce fotografie e testi dell’autore, che con tale opera ha fermato, con lo scatto, il pubblico, nelle posture e nelle espressioni, negli spazi espositivi. Evidenziando così, in maniera eloquente, il rapporto tra il pubblico e l’arte: creando un’immagine ulteriore, descrittiva e compenetrante dell’interesse delle persone in un determinato luogo in sé significativo. Quindi, non soltanto l’opera esposta, non i soli visitatori, ma l'immagine pregnante di questi con le loro reazioni, spontanee o meno, quando si trovano, per loro scelta, in un luogo che li ha attratti per ciò che rappresenta e vi si rappresenta.

 

IRENE GRENCI, MIA ZIA MAESTRA DI VITA di Irene Grenci*

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Testo del 20/06/2015*

“Devo sbrigarmi, faccio prima gli scritti e al rientro mi dedicherò alle materie orali; caspita! sono già le 15 e tra mezz’ora iniziano gli allenamenti.”

Già, succedeva così, tre volte alla settimana, quando cercavo di organizzarmi lo studio perché alle 15.30 iniziavano gli allenamenti di atletica leggera nella palestra del liceo classico di Agrigento o allo stadio di Villaseta.

Bei tempi! Si arrivava già trafelati, ma una volta lì, ogni preoccupazione per un’interrogazione andata male o per il compito dell’indomani, svaniva come per incanto. Non avevo forse neanche 10 anni, quando ho cominciato ad allenarmi con le atlete di zia Irene. Zia Irene?

Irene Grenci, classe 1929, ha cominciato a insegnare educazione fisica giovanissima nelle più remote scuole medie della provincia agrigentina, percorrendo anche a piedi diversi chilometri per giungere alla stazione ferroviaria che l’avrebbe portata a destinazione. Ma quelli erano altri tempi! Spesso ho sentito i racconti avvincenti dei suoi esordi senza stancarmi, come rapita dalle sue parole che m’inondavano e mi portavano indietro nel tempo con lei.

“Scuole fatiscenti, aule piccole, niente palestra. Si partiva da quello che c’era, non da quello che mancava; e così, spostati i banchi, e creato un po’ di spazio in aula, cominciavo la mia lezione di ginnastica”- E il riscaldamento, zia? Dove lo facevate? –“Per le scale e i corridoi -rispondeva lei candidamente - correndo su e giù, la mancanza di una palestra non era un ostacolo …”

La guardavo a bocca aperta.

 

TRA SCIOPPETTI E SPONGATI PASSA LA FRANA AD AGRIGENTO di Giandomenico Vivacqua

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La Valle era un frammento di paradiso, e i suoi antichi templi così belli e incantati che i nuovi abitanti, barbari venuti dal futuro, ne furono annichiliti. Appresero di non essere destinati a nulla di eguagliabile. La loro  architettura di necessità  mai avrebbe potuto competere, né confondersi, con la grandezza e lo splendore che li circondava e che li aveva preceduti. Compresero di essere  portatori di un’irredimibile abusività, poiché tale era la perfezione di quei luoghi che il solo calpestarne il silenzio la scempiava. Rassegnati all’interdizione dal Bello, si ritirarono sulla collina, dove, per rivincita e amor proprio, presero a coltivare meglio che poterono le inesplorate regioni del Brutto. A tal punto che la loro città, per la singolare bruttezza, desta ai visitatori altrettanta meraviglia di quel che resta dell’antico giardino degli dei. (Etienne Boireau,  Passaggio a Sudovest)

 

QUEL VIAGGIO MANCATO CON MIO PADRE di Alfonso M. Iacono

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In un freddo febbraio mi portarono a dormire dai nonni paterni. Sapevo che nonno Nino era malato e avevo capito che il mio trasferimento dai genitori di mio padre era connesso alla sua malattia. Lo sapevo bene perché una sera dell’estate prima era venuto in camera mio zio a dire a mia madre che il nonno era molto malato e che il dottore aveva dato una diagnosi che non lasciava speranze. Era perfino andato a Palermo ma le cose non erano migliorate. In quei giorni di febbraio non volevo né sapere né capire. Nonostante il freddo, stavo quasi sempre fuori sulla terrazza. Sullo sfondo di una smossa campagna e di poche case sparse qua e là c’era la stazione bassa e io potevo vedere passare i treni che partivano dalla stazione principale o che vi stavano arrivando. Era la vecchia stazione prima che facessero negli anni ’30 quella centrale dopo che avevano devastato le bellissime mura medievali. Dalla terrazza dei miei nonni paterni si potevano sentire respirare e sferragliare le locomotive che spesso lanciavano getti di fumo bianco. Più silenziose e meno spettacolari le littorine. Quelle a scartamento ridotto che scendevano verso il mare e quelle normali dirette all’interno. La mattina passava il treno che sarebbe andato a Roma, o meglio, che aveva un vagone diretto alla capitale. Un treno che avevo già preso e con cui avrei ancora viaggiato d’estate per andare in Continente con i miei genitori, a Roma, Sanremo, Firenze, Torino, Milano, Venezia, Napoli. Un viaggio lunghissimo, fatto di molte ore piene di immagini dal finestrino che si mescolavano dolcemente ai sogni a occhi aperti. Un viaggio che percorreva il giorno e la notte. Chi poteva dormire?

 

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