Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

occhiorecchio

 

QUANDO LENTEZZA FA RIMA CON ACUTEZZA di Pepi Burgio

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Per caso, solo per caso, in TV ho visto, in ritardo di 23 anni, Il grande cocomero di Francesca Archibugi, film intenso, struggente, che ho molto apprezzato. L’ho visto con partecipazione immediata, come si usa dire col cuore in gola, liquidando, soltanto in parte, radicati pregiudizi nei confronti di un certo cinema italiano.

Il grande cocomero affronta temi assai scivolosi: il disagio mentale, l’incomprensione, la malattia psichiatrica negli adolescenti, la morte di una bambina, l’amore. Senza però pericolosi sbandamenti retorici in direzione dell’ammiccamento ruffiano o dell’enfasi. Ma con una rara, sorprendente grazia, testimonianza eloquente dello spessore poetico della regista e della maturità intellettuale con cui controlla rigorosamente il mezzo espressivo. Inoltre, ciò che più mi ha colpito è l’adozione di un ritmo narrativo oserei dire naturalistico, perfetto, sincronico con la descrizione dei vari vissuti.

In particolare, la lentezza con cui l’Archibugi indulge in alcune sequenze che attestano una raffinata sensibilità, rimanda a qualcos’altro, a qualcosa di più impegnativo ed urgente. La lentezza cioè, non è mera scelta formale, ma radicale, autentica demondanizzazione, direbbe qualcuno. Mentre ancora trattengo la temperatura emotiva che Il grande cocomero mi impone, leggo, in un libro-intervista a Joseph Ratzinger, quel brano del discorso di Friburgo in cui Benedetto XVI invita a prendere le distanze dal potere, da Mammona, dalla falsa apparenza, dall’inganno e dall’autoinganno. Di sicuro la relazione fra lentezza e demondanizzazione andrebbe adeguatamente giustificata, mi pare tuttavia facciano entrambe parte della sterile resistenza ai fragori ed alle frenesie di un mondo artificioso accolto come vero.

 

ANIMA, LE PAROLE PER DIRLA di Pepi Burgio

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L’anima, fa dire Robert Musil ad uno dei personaggi de L’uomo senza qualità, è quella cosa che scappa a rintanarsi quando sente parlare di serie algebriche. Forse anche allo spirito accade qualcosa di simile. Da tempo, termini come anima, come spirito rischiano di rimanere sepolti dalla polvere dell’oblio. E la difficoltà che s’incontra nel tentare di definirli puntualmente, fa il paio con la loro inattualità. Anima e spirito non hanno più corso legale; così come onore, tradizione, gerarchia, coraggio. Tutta roba inservibile, se non per il trastullo di qualche testa rasata e vuota.

Eppure, davvero incredibile, già nel settembre del 1951, Anna Maria Ortese sul Corriere di Napoli, con stupefacente lucidità e inconsapevole preveggenza, tratteggiava nitidamente i contorni di un quadretto destinato a riproporsi presso le numerose terrazze del paese nei decenni successivi. Leggiamo: Più volte, in questi ultimi anni, mi è accaduto di dover pronunciare la parola “spirito”, e di vedere improvvisamente sul volto dei circostanti, gente di alta o media cultura, apparire una contrazione, se non addirittura una smorfia, di irritazione o sospetto, che facilmente diventava aggressiva.

 

A PORTO EMPEDOCLE C'E' UN'ISOLA DELL'UTOPIA CINEMATOGRAFICA. MA SEMBRA LONTANA, LONTANISSIMA di Tano Siracusa

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Cosa può avere un principe, un miliardario che io non posso avere e che mi piacerebbe avere? Non molte cose, ma di sicuro un cinema tutto per me, dove la sera invitare pochi amici selezionati, cinefili ma senza partiti presi, e poter guardare buoni film, di quelli che nel grande circuito della distribuzione non riescono ad entrare perché come tutti sanno c'è una selezione alla rovescia. Più i film sono buoni, di ricerca, di qualità, minori sono le probabilità di vederli in sala, e non solo ad Agrigento. Chi ha visto in sala l'Arca russa di Sokurov, uno dei capolavori assoluti della storia del cinema? Ma neppure 'Respiro' di Crialese aveva raggiunto le sale italiane prima del successo in Francia.

L'Arca russa l'ho visto in dvd, ma il Faust del visionario regista russo l'ho visto in sala, al Mezzano, e solo perché lo avevo chiesto al proprietario, Gero Mezzano.

Da alcuni anni quello sfizio da miliardario me lo permetto andando al cinema Mezzano, a Porto Empedocle.

La programmazione normalmente comprende i migliori film non americani e italiani, molti dei quali hanno ricevuto importanti premi internazionali. Cinema francese, inglese, spagnolo, turco, svizzero, finlandese, ma anche latinoamericano, come Pelo Malo, che ho visto sabato pomeriggio. Un magnifico film venezuelano, sottotitolato, un storia difficile raccontata in modo semplice, un film povero, la cui poesia è affidata ad una sceneggiatura sobria, a dialoghi brevi, strappati ad una quotidianità di dolore e incomprensione, di poesia affidata alla semplice bellezza dei corpi, quella bellezza antica che piaceva a Pasolini. Un omaggio al nostro neorealismo.

Eravamo in cinque in sala, appunto cinque amici cinefili, accompagnati da Gero Mezzano sorpreso e felice come per una bella visita inattesa.

 

NON SOLO ROCK. C'E' ANCHE LA MUSICA MEDITERRANEA di Tano Siracusa

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Danza Sufi, come altri miei video recenti, non e' solo un esercizio di montaggio, ma vuole anche proporre delle segnalazioni musicali mediterranee. Con Pepi Burgio (il 'professore': per antonomasia) ne abbiamo parlato per anni. Lui e' molto piu' colto di me, e non solo musicalmente. Eppure su questo punto mi ostino a dargli torto, e i video su Paco Ibañez, Dhafer Youssef, questa Danza Sufi, li realizzo anche pensando alle nostre discussioni sulla dimensione a suo parere 'universale' della musica rock. Io non credo all'universalita' del rock e credo che la sua diffusione planetaria sia stata soprattutto espressione dell'egemonia culturale - e non solo ovviamente culturale - degli Stati Uniti. Da mezzo secolo in Occidente, ma non solo in Occidente, la musica anglostatunitense ha occupato il centro della scena musicale, trascinandosi o venendo trascinata dalle sonorita' africane che echeggiano nel jazz e nel blues e fissando nei contesti nazionali di origine le esperienze musicalmente eccentriche, che non riuscivano ad avere una proiezione internazionale. De Andre' e' rimasto praticamente sconosciuto al grande pubblico internazionale e in Italia, d'altra parte, non abbiamo saputo nulla di un fenomeno che fin dai primi anni '60 ha avuto un grande successo prima in Spagna e poi in molti paesi latinoamericani, la divulgazione musicale dei grandi poeti. In fondo la scissione fra testo e musica ha inizio nel basso medioevo, proprio in Sicilia alla corte di Federico II. Ma i 'provenzali' erano ancora in quegli anni dei poeti-cantanti, come lo sono ancora oggi i cantastorie nelle piazze delle citta' marocchine e lo erano mezzo secolo fa ancora in quelle siciliane. Paco Ibañez e' solo uno, forse il piu' conosciuto internazionalmente, di una nutrita schiera di poeti-musicisti-cantanti, che hanno messo in musica poesie di Francisco de Quevedo, Antonio Machado, Garcia Lorca, Rafael Alberti, ma anche di Cesare Pavese (in basco).
 

DOPO LE LUCCIOLE SCOMPAIONO GLI AUTOSTOPPISTI di Tano Siracusa

Autostop in Mongolia
Può succedere, viaggiando attraverso la steppa mongola, di pensare ad un tratto a Pasolini e al suo articolo sulle lucciole. A me è successo quasi un anno fa sulla pista che da Ulan Bator porta a Dashbalbar, non lontano dal confine con la Cina. Per ore avevamo viaggiato sull'onda verde della steppa incontrando soltanto mandrie di cavalli e di cammelli e neppure un albero; ogni tanto una tenda, a distanza di qualche chilometro un'altra tenda, e poi di nuovo il nulla.
La macchina si era poi fermata ad un incrocio di piste, ad un paio di chilometri da un surreale agglomerato di palazzoni che esibivano le orbite vuote delle finestre come un'attonita protesta.

Anni fa, un'epoca fa, il governo comunista aveva deciso di far sorgere lì, nel deserto della steppa, un centro abitato. L'esperimento però non aveva neppure avuto inizio: forse il crollo del comunismo o semplicemente la dimensione fantastica, allucinatoria del progetto, così intrisa di atmosfere kafkiane e buzzatiane, ne aveva impedito la realizzazione.
Ma a farmi pensare a Pasolini non era stato tanto lo spettacolo di quel fallimentare conato modernizzatore, quanto la presenza di un'autostoppista. Dove la nostra macchina si era fermata infatti è apparsa una donna con un paio di grossi fagotti che ha chiesto un passaggio. Una donna precocemente matura, moglie di qualche mandriano, madre di chissà quanti figli, che faceva l'autostop.
Ho pensato allora a Pasolini e a quel famoso articolo. Ho pensato che così come in Italia all'improvviso erano scomparse le lucciole, pochi anni dopo sono scomparsi gli autostoppisti.
Certo, la scomparsa degli autostoppisti non annunciava il cambio di civiltà segnalato dalla scomparsa delle lucciole, ma era comunque espressione di una modificazione profonda nella trama emotiva dei rapporti fra gli individui, nelle forme elementari della comunicazione sociale, almeno nelle società occidentali.
 

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