Agrigento tra le Alpi e le Piramidi

I CAMMINI INTRECCIATI DI FRANCESCO RANDAZZO di Alfonso Lentini

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«Aperta nel cielo / sul mare / fra le nuvole / d’indaco impossibile / una porta perfetta / di sette / colori. / Ho volato / dentro / quell’arco, / baléno del miocardio, / e cadendo / qualche ora più tardi / non ho saputo dirti / con parole / dove / ero stato / io con te. » Questi versi di lampante bellezza (che spezzano in due un arcobaleno e raccontano sommessi l’intensità di un momento d’amore, rifuggendo dal poetichese di maniera) si trovano fra le pagine di Alito e calce1, libro appena pubblicato dalle romane edizioni Ensemble.

L’autore è Francesco Randazzo, un uomo di teatro (drammaturgo, regista, attore…) proveniente da solida scuola (quella di Giuseppe Di Martino prima e quella dell’Accademia Silvio D’Amico poi). “Siciliano della diaspora”, come lui stesso si definisce, Randazzo è nato a Catania ma ha fatto di Roma l’epicentro della sua vita e gira liberamente il mondo (con il corpo, quando capita; oppure con le sue opere, che poi è quasi la stessa cosa).

Teatrante fra i più sopraffini e consapevoli, è un negromante di parole, ma di parole speciali, inzaccherate di sipari, riflettori, azioni, soffi, gesti.

Eppure nella sua arte, in percorsi intrecciati, c’è anche dell’altro. Accanto alle “parole sporche” del teatro, nella sua ricerca troviamo anche parole nude, cioè la scrittura autosufficiente – quella senza palco, microfoni o reti protettive – frutto di un lavoro (o lavorìo) che Randazzo da sempre affianca, in percorso parallelo, a quello, forse più spettacolare, per il quale è maggiormente noto.

 

"NON SONO UNA TERRORISTA CITRULLO" di Saba Anglana*

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In aereo imparo i versi di un mezmur sacro a memoria. Mi serve per il prossimo lavoro in teatro, melodia dalla scala pentatonica antica, di derivazione cristiana copta.

Le parole sono in amarico, ma evidentemente suonano arabe e il mio salmodiare sottovoce deve aver impensierito come una fatwa il vicino di posto, percepisco la sua tensione.

Ah, ho un foulard acquistato in Afar da nomadi che vengono dalla Dancalia, ma a dire il vero sembra un po' una kefiah mediorientale, ed è ben arrotolata a nascondere il viso, perché non sopporto l'aria condizionata.

 

QUELL'INCONTRO IN CILE, NELLA TERRA DEI MAPUCHE di Tano Siracusa

Los Sauces, 1999 - Foto Tano Siracusa - <A HREF="http://www.suddovest.it/cms/?q=image/tid/113">FOTOGALLERY</A>
Los Sauces, 1999 - Foto Tano Siracusa - FOTOGALLERY

Opache e reticenti a dispetto della loro trasparenza referenziale, le fotografie rimangono offerte a sguardi che non sempre le riconoscono uguali  a se stesse.
Nel 1999  andavo in Cile per la prima volta.  Cercavo di cucire ciò che sapevo del suo passato recente a ciò che si mostrava in una Santiago lustra e indaffarata, a Valdivia, a Castro, nella fosca isola di Chiloè  dove piove 300 giorni l’anno.
Pinochet aveva lasciato da poco  il suo ultimo incarico istituzionale di capo dell’esercito, mentre da nove anni, a seguito del plebiscito e delle successive elezioni, aveva dovuto abbandonare la presidenza del Cile. Eppure  il potere e il prestigio del vecchio dittatore incombevano ancora sul paese e lo dividevano, intimidivano il governo di Lagos e una parte della stampa, eccitavano ricordi recenti, forse presagi.  Fotografavo andando in giro, ascoltavo.
Un uomo visto da dietro le persiane che sembrava fuggire nella strada vuota, i cani randagi, certe facce sui giornali e tutti quei militari davanti al palazzo della Moneda, una vecchia che ricordava i morti sui marciapiedi e diceva ‘malo Pinocio’, una ricca  proprietaria  che raccontava della paura quando pretendevano con Allende di rovesciare tutto, che ora si divideva, si faceva a metà, e lo raccontava  sotto un ritratto ad olio del dittatore in divisa, in una villa che mimava splendori settecenteschi ai bordi di Los Sauces, un piccolo centro a qualche ora da Temuco in una zona abitata dai Mapuche, indios che in quelle settimane avevano conquistato le prime pagine dei giornali. 
Avevano inscenato proteste, bruciato qualcosa nella selva, si era sparato. 

 

AMICIZIA. SGUARDI LIMPIDI, IRRINUNCIABILE CHIAREZZA di Giorgia Cuffaro

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Pubblichiamo il breve racconto con il quale Giorgia Cuffaro, alunna della classe I A del Liceo Classico "Empedocle" di Agrigento, ha partecipato al concorso nazionale Uguaglianza nella diversità - Premio Tommaso Viglione città di Venosa, ricevendo la speciale menzione "La forza della parola" per la qualità metaforica della sua scrittura.

Questa è la storia di un incontro singolare, dello scoccare di un legame

ineffabile, che non dalle patologie dei protagonisti ( rispettivamente autismo e

sindrome di Down ), ma da sguardi limpidi e irrinunciabile chiarezza trae

prezioso nutrimento.

«Buongiorno ragazzi. Benvenuti. Sono il professor Abello»

Impegnato com'era a digrignare i denti e dimenarsi, Mattia non si era reso

conto di essere già in classe. Si sentiva come se fosse stato rigurgitato dalle

fauci di un mostro spietato, stanco di tenerlo con sé. Quel mostro era sua

madre; Lucia lo aveva abbandonato, e per di più nel posto peggiore che

avesse mai immaginato.

Sovrastato da un'orrenda falange con a capo un generale in camicia,

punzecchiato da lance marroni mai viste prima, ne riconobbe in lontananza

un paio di meno affilate, più che lance quelle gli sembravano occhi veri,

azzurri come i suoi.

«Vattene via!» Urlò al fante più vicino.

E il nemico, prudente: «Nessuna diplomazia, eh? È il Bello ad avermi messo

qui»

«Devi andartene. Devi stare con quelli come te, quelli che hanno le lance al

posto degli occhi. Vattene subito»

La malcapitata ragazzetta, che poi scoprì chiamarsi Ludovica, cercava

atterrita lo sguardo del professor Abello.

 

CONFITEOR di Venerando Bellomo

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Ci sono dei lavori che sfuggono alla regola temporale imposta dalle conquiste sindacali, ma, anzi, diventano non solo forma e stile di vita, ma anche pensiero permanente. Sotto tale aspetto da paragonare ad una sorta di ordinazione sacerdotale: "sacerdos in aeternum". La prova di questo sta nel fatto che gli appartenenti alla categoria, anche fuori dal loro contesto d'occupazione, continuano a professare una sorta di credo laico, cercando di coinvolgere, in ogni modo, tale é la forza dell'ispirata fede, chi non appartiene alla regola: rapportando ogni fatto, anche minuto, di vita quotidiana ad un precedente canonico.

 

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