Caro Giovanni di Girgenti
ti scrivo per informarti che ho provveduto ad una leggera potatura dei frondosi alberi che ombreggiano la mia casa, cosicché dalla poltrona contemplativa, adesso, attraverso la grande finestra, vedo il mare tra le foglie del tiglio. San Leone è lì, a poche centinaia di metri, ancora per pochi giorni estemporanea e quieta; ma già le ruspe sulle spiagge azzardano uno sperimentale “ripascimento” (a lungo ho combattuto contro il correttore automatico, che vorrebbe mettere una enne al posto della pi; mi sono imposto, malgrado la parola sia molto brutta, perché tra il pendulo borgomastro e il Magnifico Lorenzo per il momento c’è differenza), mentre mastri d’ascia e pittori rifanno di gran lena i lignei chioschi paratropicali. Tra poco, una liquida moltitudine colerà su tutto e un profumo dolciastro di creme abbronzanti coprirà l’odore del mare. Domine, libera nos a malo.
Noterai, già da queste poche righe, che la mia idiosincrasia s’è aggravata e che ad alleviarne i patimenti non valgono le smisurate pattuglie notturne sui frumentosi contrafforti polacchi, cui mi applico in quanto coscritto senza grado dell’Armata a cavallo, il romanzo miniaturistico di Isaak Babel, scoperto per caso in uno scaffale della casa di San Giacomo, che merita di essere ammesso nella nostra segreta lista (a Lui non piacerebbe, sicuro).
Stai pensando che il mio stato d’animo crepuscolare proceda dalla delusione e dallo sconcerto per quanto emerso dalle urne? Hai ragione, solo in parte.